Ci sono notizie che arrivano di notte, che fanno male, che vorresti scoprire false. Ma sono notizie, ultim'ora si dice in gergo, che costringono a riaprire le pagine del...
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L'autore di «Suzanne» e «Hallelujah» sentiva vicina la fine e non lo nascondeva, con quello scabroso senso di cruda verità che ammantava anche le più romantiche delle sue liriche. L'aveva scritto nella lettera d'addio all'amata donna cui aveva dedicato uno dei suoi pezzi più belli e celebri, «So long Marianne». L'aveva ribadito nel suo ultimo, recente, splendido, disco, «You want it darker». L'aveva confessato alla stampa presentando proprio l'album.
A 82 anni, dopo aver visto l'assegnazione del Premio Nobel all'amico e collega Bob Dylan, l'unico che possa sovrastare di qualche spanna la sua arte, il canadese errante se ne è andato con l'eleganza di sempre, con la classe di un ebreo dongiovanni che nelle sue canzoni ha messo la Bibbia come il Talmud pur dicendo di non avere fede e pur essendosi fatto monaco zen. Era tornato alla canzone perché un manager gli aveva rubato tutti i risparmi di una vita, aveva affidato al figlio Adam la produzione del suo ultimo-disco, testamento e proprio lui aveva detto che suo padre «alla fine della sua carriera, e forse della sua vita, era al massimo della sua potenza espressiva».
Sul «Mattino» in edicola c'è già un ampio servizio, ma della scomparsa di Cohen continueremo a scrivere, e a parlare a lungo, al suono delle sue canzoni come balsamo sulle ferite aperte dall'addio a un maestro, di canzone come di vita. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino