Luca Aquino, uno dei (giovani) trombettisti jazz più in forma degli ultimi tempi, passa con stakanovistica e variegata presenza da un progetto all’altro, senza...
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«Registrare un album in Giordania, tra i colori del deserto e i riverberi del sito archeologico di Petra, è un sogno inseguito per anni e finalmente realizzato», spiega Aquino, che da sempre lavora sull’utilizzo di riverberi naturali come parte fondante della sua composizione, basti ricordare l’album registrato sfruttando l’acustica di una chiesa. Luca parla delle sedute di registrazione come di «un’esperienza mistica, condivisa con un fantastico organico cosmopolita, proveniente da culture e nazionalità apparentemente lontane che, unite dall’urgenza espressiva della musica, ha dato vita ad un sound che soffia luce dai minareti, sorvola la mia bella Benevento e punta dritto a New Orleans». In realtà è difficile definire il disco, che ingabbia la tromba del solista più del solito, ma non ne disperde la voce lirica, anzi la lascia risonare tra le antiche rovine a cui gli integralisti islamici sono riusciti a fare i danni che il tempo aveva sinora risparmiato. Da «Dead sea mon» a «Amman», sono otto pezzi originali, compreso qualcuno come «Aqustico» che già conoscevamo, più una rilettura di «Smile» di Charlie Chaplin.
I ricavati dell’album andranno al sito di Petra e all’associazione no-profit che sostiene l’orchestra giordana, mentre la campagna promozionale del cd, con l’apporto dell’Unesco fin dalla fase di registrazione, servirà a ribadire quanto prezioso sia il parco archeologico, vero patrimonio dell’umanità.
Luca ha portato con se in Giordania Carmine Ioanna (fisarmonica) e Sergio Casale (flauto e arrangiamenti), mentre alla Jordanian National Orchestra si sono aggiunti la violinista tedesca Anna Maria Matuszczak, il contrabbassista siriano Bassem Al Jaber, il percussionista Brad Broomfield di New Orleans, il violista armeno Vardan Petrosyan e l’oboista rumeno Laurentiu Baciu. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino