Guardare il mondo attraverso la scelta dei tatuaggi e scoprire chi e perché ha trasformato un’abitudine diffusa nelle carceri, in un fenomeno di moda. «Mamma...
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Due giovanissimi mostrano l’evoluzione del fenomeno mentre tra Napoli e l’isola di Procida alcuni dei banditi più feroci del dopo guerra si mostrano agli occhi di Giuseppe Di Vaio e si confidano al tatuatore Braian Anastasio. Un’intuizione che ha consentito di dare alla luce più risultati, la narrazione e il punto di osservazione dei protagonisti e allo stesso tempo i motivi che hanno spinto Napoli ad essere ad oggi, tra le città con il più alto numero di esseri umani tatuati in tutto il mondo. «Mamma vita mia», titolo che prende spunto dal tatuaggio per eccellenza, quello dedicato alla propria madre, è «una storia che nasconde un mondo del tutto nuovo, fatto di segni, messaggi in codice e sofferenza - secondo Di Vaio - la sfida è stata mettere in contrapposizione il motivo antico per il quale la gente si tatua con quello contemporaneo».
«Siamo andati in giro per Napoli – precisa l’ideatore del documentario, Anastasio - alla ricerca di storie . Abbiamo trovato anziani che ci hanno raccontato come è cambiata l’arte del tattoo da quando si praticava solo in cella, tra criminali, ed era un’esperienza di vera sofferenza. I protagonisti sono tutti ex carcerati , alcuni con decenni di galera alle spalle. Molti di questi hanno vissuto il periodo della Nuova Camorra Organizzata con Raffaele Cutolo, e hanno storie leggendarie. Abbiamo ad esempio alcuni colonnelli di quell’esercito della camorra che ci raccontano le connessioni tra i loro tatuaggi e gli omicidi commessi». continua Anastasio. E in effetti, ancor prima di aver visto il documentario, già oggetto di diversi riconoscimenti, basta scorrere le fotogallery per captare il viaggio dentro cui ci si immerge fin dal primo minuto. «Ci siamo soffermati più che altro sulla simbologia, i detenuti che abbiamo intervistato si tatuavano anche per passare il tempo visto che in cella l’unica cosa che abbonda è proprio il tempo - dice Anastasio - Erano gli anni 50, i Tattoo studio non esistevano ancora, ma la necessità di comunicare attraverso i simboli, divenuti poi disegni, era imperante.
«L’idea è stata quella di trasmettere non solo il lato folcroristico delle storie di questi personaggi, ma soprattutto la loro umanità, il fatto che un tatuaggio molto spesso sia un segnale di sofferenza passata che si ripresenta ogni volta che lo si guarda. In tutti ho trovato un’estrema sensibilità, non semplice entrare nelle loro psicologie, ognuno di loro aveva storie straordinarie da raccontare», conclude Di Vaio. La colonna sonora è davvero preziosa: Franco Ricciardi, Fussera, O’Iank e Pino Ciccarelli. «Mamma vita mia» è una cooproduzione «Napoli Photo Project», «MG Film» in collaborazione con Tattoolife e a breve verrà proiettato anche a Napoli. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino