Chissà se è merito del coautore Zibba, della vita o di una svolta, ma «Spostato di un secondo» ci presenta un Marco Masini diverso da quello che ha...
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Un pezzo che rompe la monotonia di un festival per trottolini amorosi, che canta passioni in cui non crede.
«Quello del titolo è un concetto paradossale e utopico: arrivare un secondo prima nel nostro passato per scegliere la cosa giusta. Per me la canzone è una storia, parlare di se stessi, a volte, è la storia più semplice che abbiamo a disposizione. La mia storia è cambiata e, con essa, cambiano anche le mie canzoni, che magari oggi si vestono di electropop. Oggi più di urlare “Vaffanculo”, che non rinnego sia chiaro, cercherei di capire qualcosa di più».
Addio al «cantore del disagio», come si autodefiniva?
«No, di disagio vivo, di disagio morirò, nel disagio viviamo tutti, compreso il mio disco. Per questo oggi vorremmo essere rassicurati, per questo oggi cercheremmo un uomo saggio come il mio amato Siddharta».
Eppure sembra che, invece, la gente cerchi l’uomo forte.
«Mah... Troppi decisionisti in giro, come fare a sapere la verità?».
Perché tornare al Festival, intanto?
«L’Ariston è come un rigore, se lo sbagli non hai tante possibilità che te ne diano l’altro. Quando sei convinto di avere la canzone giusta vai, è come se sapessi che ti sei procurato quel rigore».
Sanremo, con Tiziano Ferro, ricorderà finalmente Tenco, a 50 anni dal suicidio. Si può morire per una canzone?
«No, ma può succedere che un mestiere ti uccida, che un’atmosfera poco favorevole ti faccia morire dentro, e poi anche fuori. Com’è successo a una cantante».
Parla di Mia Martini. In passato si era sentito vicino a lei, per certe dicerie messe in giro sul suo conto.
«Oggi mi manca la grande artista e cammino sulle mie gambe, magari malferme, ma senza cercare a tutti costi la polemica».
Anche la barba le dà un’immagine da saggio alternativo. Nessuna polemica nemmeno nella scelta, per la serata delle cover del 9 febbraio, di “Signor tenente” di un cantautore anomalo come Faletti?
«Nessuna polemica, solo consapevolezza che, per la sua struttura parlata, quel pezzo è stato raramente ripreso, se non mai, eppure ci appartiene. È insieme desueto e tristemente attuale. E, poi, Giorgio era un grande, e un mio amico, ho anche messo in musica un suo testo una volta. Spero mi perdoni lo stravolgimento, lo ascolterete in una versione talkin’ quasi rap».
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Il Mattino