Marco Mengoni in tour tra palasport e stadi: «Via i confini, anche nella musica»

Marco Mengoni in tour tra palasport e stadi: «Via i confini, anche nella musica»
Marco Mengoni uno e trino. Le suggestioni rhythm'n'blues del predecessore «Materia (Terra)» nel nuovissimo «Materia (Pelle)» virano in direzione...

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Marco Mengoni uno e trino. Le suggestioni rhythm'n'blues del predecessore «Materia (Terra)» nel nuovissimo «Materia (Pelle)» virano in direzione più «clubby» con uno stuolo di ospiti in bilico tra Mace e La Rappresentante di Lista, Bresh e Samuele Bersani. «Lo vedo come un disco corale, con musica africana, sudamericana, elettronica», spiega lui: «In Ancora una volta riprendo persino dei madrigali. Tanta roba».

Un meticciato musicale che, nel suo caso, è pure genealogico: «Qualche tempo fa, per curiosità, ho fatto il test del Dna scoprendo di essere italiano solo per il 35 per cento, il resto è una sovrapposizione di genie».

Una scoperta che in questo secondo capitolo della trilogia l'ha spinto a credere con ancor più decisione nelle contaminazioni: «Per me incontrare e approfondire cose nuove, che non conosco dalla nascita è nutrimento, è arricchimento». Tutto nell'attesa del terzo ed ultimo capitolo di «Materia», che potrebbe vedere la luce a primavera, prima dello sbarco in quegli stadi che il 24 giugno vedranno l'idolo di Ronciglione in scena anche all'Arechi di Salerno. Intanto prosegue il tour nei palasport all'insegna del tutto esaurito con cui sbarca il 27 ottobre al PalaSele di Eboli: «Un progetto di questo tipo è un work in progress soggetto a continue modifiche disco dopo disco, visto che a modificarsi nel tempo è pure il pensiero di te che lo realizzi».

Dopo la terra, la pelle.
«I sottotitoli di questa trilogia non li ho decisi prima, ma voglio farlo di volta in volta a lavoro finito. Pelle, ad esempio, l'ho scelto perché è il termine che mi fa pensare di più a questo agglomerato di canzoni e di influenze; un disco vissuto come quelle rughe e quelle cicatrici che ci rendono uno diverso dall'altro».

Com'è nato il rapporto con Bersani?
«Con Samuele ci conosciamo da dieci anni e per me è una specie di fratello maggiore. Gli ho mandato Ancora una volta solo per avere un giudizio e lui mi ha risposto: in questo pezzo vorrei esserci anch'io. Sinceramente, non considero il nostro incontro un duetto, né un feat, ma solo un regalo immenso che ha voluto farmi».

Dovendo fare delle scelte, in una ideale playlist cosa sceglierebbe di questo suo album?
«Siccome ci sono dei pezzi che hanno fatto crescere il disco aggregando via via attorno a loro poi tutti gli altri, partirei da Unatoka Wapi che in lingua swahili significa Da dove vieni? ed è un po' il manifesto del progetto con un testo ispirato da Frantz Fanon, un antropologo e psichiatra anticolonialista molto attento nelle sue opere al rispetto della dignità della persona. Aggiungerei Ancora una volta e Respira perché raccontano bene l'idea del disco. Proprio i tre pezzi che all'inizio del progetto avevo messo nel cassetto pensando a questo secondo disco».

«Caro amore lontanissimo» è un inedito di Sergio Endrigo inserito anche nella colonna sonora di «Colibrì» il film di Francesca Archibugi tratto dal romanzo di Veronesi, che verrà presentato giovedì prossimo alla Festa del Cinema di Roma.
«Me l'ha proposto Claudia Endrigo cinque anni fa. Il padre l'aveva abbozzato nel '73 con Riccardo Sinigallia l'abbiamo ripreso e completato. Ritengo una magia il fatto di averlo in questo disco e nel film perché, avendo un arrangiamento orchestrale e una scrittura diversa da quella di oggi, finora non ero riuscito a trovargli un senso. Diciamo che sta in quel mio 35% italiano».

La parola chiave del disco è «apertura», preoccupato dei venti contrari che spirano qua e là?
«Non vorrei che alcuni principi in tema di diritti ormai assodati venissero rimessi in discussione e che alcuni estremisti del pensiero si sentissero in qualche modo legittimati. Soprattutto sul web. Pure da noi comincio a sentire discorsi strani e anacronistici che vorrebbero privare la donna di scegliere sul proprio corpo. Mi sembra di tornare indietro nel tempo, ma non nel 73, direttamente nella preistoria».

A questo punto ci sta una domanda su «Bella ciao»: per la Pausini è un pezzo di parte.
«Sono sempre pronto a cantare l'inno partigiano che sentivo da mio nonno che era stato fatto prigioniero e si era liberato, per difendere i diritti di tutti».

Tornerebbe al Sanremo di Amadeus?


«Con il pezzo giusto, sì. Perché il Festival è tornato ad essere una bella vetrina in cui presentare la propria musica. Un po' come i Grammy in America. Ed è figo andare ai Grammy. È vero, all'Ariston ci sono una gara e una classifica, ma la storia ricorda che l'ultimo può avere successo in radio come il primo e quindi non è un problema. Per quanto mi riguarda, al momento non c'è niente però».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino