«La vittoria del bene sopra la tirannia». Zubin Mehta racconta il suo «Fidelio» che dirigerà al San Carlo in forma di concerto domani (ore 19) e...
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Maestro, lei per «Fidelio» ha parlato di vittoria del bene, come si tramuta tutto questo in musica?
«Quando l'opera inizia sembra una sinfonia di Haydn, ma quando la storia inizia il suo sviluppo siamo già al primo Wagner, il peso del suono si sente fortemente, si sentono, ad esempio, il carattere nervoso di Pizarro e l'innocenza di Rocco. La musica riflette anche la battaglia di Leonora per convincere Rocco a farla entrare nella prigione».
Ci saranno altre differenze tra l'opera allestita scenicamente e quella in concerto?
«Abbiamo eliminato la Leonore inserita da Mahler per esigenze di cambi di scena. Non abbiamo questo problema e andiamo via filati verso il finale, in cui si sentono le catene che si spezzano e si avverte il sorgere del sole della libertà».
Ha diretto quest'opera molte volte dopo la prima a Firenze nel 69.
«Ricordo un allestimento bellissimo di Strehler con le scene di Frigerio, la prigione era come sotto il palco, molto suggestivo. Ma recentemente ho fatto degli allestimenti ridicoli. In uno a Monaco Don Pizarro addirittura uccide Florestan. Poi nel finale chissà come l'eroe resuscita. Don Fernando era vestito come un Joker».
Insomma, meglio allora in forma di concerto?
«Certamente sì. Dà molta più soddisfazione, anche perché ieri, oggi, nel mondo non cambia nulla. Ci sono sempre persone che soffrono come i rifugiati e altre che profittano, come i trafficanti che li portano in Europa. Penso a quei barconi carichi di gente e alle grandi navi da crociera di lusso... Comunque in questo campo in Italia sono degli eroi».
Lei ormai dirige spesso qui: che rapporto si è creato con la città?
«Lavoro sempre, ma ho visto il centro antico, la Reggia di Caserta. So poco del miracolo di San Gennaro, ma conosco il miracolo del Cristo velato. Tutto il mondo dovrebbe vederlo, gli stessi italiani, al Nord, non conoscono i tesori di Napoli».
E l'orchestra del San Carlo?
«Ogni volta cresce l'affetto. C'è grande qualità. Il teatro ha una buonissima acustica, meglio della Scala o di Firenze dove ho diretto tanto. Abbiamo lavorato molto sullo stile. Bisogna capire le tradizioni insite in questa musica, se si legge solo quello che è scritto non si capisce l'intenzione dell'autore. Ho raccontato ai musicisti napoletani che a Vienna fanno molte tournée e spesso l'orchestra è formata da vecchi pensionati e giovani. Se devono eseguire Traviata o Rigoletto non c'è problema, se devono suonare Fidelio sì».
A proposito, tra giugno e luglio lei ha guidato due importanti tournée del teatro, a Milano e a Granada, ha eseguito sempre Beethoven, la Nona. C'è un filo che lega eventi e «Fidelio»?
«Naturalmente. La rivoluzione di Beethoven continua. E l'orchestra mi segue. A Milano abbiamo avuto molti problemi di acustica, in Duomo. Ma sono stati tutti bravissimi e con l'ausilio dell'elettronica abbiamo eliminato il riverbero di dieci secondi. E ora, nonostante abbiamo fatto pochi giorni di prove aspetto il debutto senza nervosismo, con gioia. C'è solo un problema».
Quale?
«L'orchestra ha bisogno di buoni strumenti.
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Il Mattino