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È un giornalista-saggista che fa teatro e cinema o un regista di teatro e cinema che fa il giornalista-saggista? Milo Rau, illustre, pluripremiato artista svizzero, solide basi con studi di sociologia, germanistica e filologia romanza, attivista e intellettuale, artefice di pièce e film acclamate in tutto il mondo, è entrambe le cose. Perché in lui vita e arte si confondono e s'impregnano di realtà: storia, cronaca, omicidi, torture, guerre, genocidi, diritti usurpati... insomma, tutto il dolore con cui l'uomo corrode il proprio universo deve trasformarsi in rappresentazione.
Roberto Andò, direttore del Teatro di Napoli-Teatro nazionale, lo ha voluto fortemente; e in questa stagione è riuscito a ospitare al Mercadante due suoi spettacoli: «The interrogation», monologo di Rau ed Édouard Louis, interpretato dal belga Arne De Tremerie, testo in fiammingo con sopra-titoli, in programma da domani a domenica; e «The repetition. Histoire(s) du théâtre (I)», ideato, scritto e diretto da Rau, previsto per il 19 e il 20 aprile prossimi.
Al principio, in «The interrogation», al posto di Arne De Tremerie c'era Louis, amico storico di Rau, scrittore e attore, prima che una crisi personale lo allontanasse dalle scene. Perciò il monologo, oggi, comincia proprio con la mail che egli inviò a Rau per condividere la «stanchezza di essere sul palcoscenico ogni sera, ripetendo le stesse battute».
Temperie diversa per l'altro spettacolo, «The repetition. Histoire(s) du théâtre (I)». Qui Rau ha preso spunto da un fatto di cronaca avvenuto in una notte dell'aprile 2012 a Liegi: vediamo un uomo, Ihsane Jarfi, mentre parla con un gruppo di ragazzi davanti a un bar per gay. Due settimane più tardi, ai confini di un bosco viene ritrovato il suo cadavere, che mostra segni di torture e sanguinaria violenza. Spiega l'artista svizzero: «Il mio lavoro ha origine da una domanda: in quale modo la realtà può essere influenzata dal teatro e come può essere rappresentata?». Quanto, all'«histoire du théâtre», c'entra perché con l'episodio di Liegi Rau ha voluto trasporre la forma del tragico nelle sembianze di un'allegoria criminologica: «Per me la descrizione della violenza è sempre stata cruciale, come regista di prosa e di cinema, come scrittore e come padre. Anche nella mia vita privata io ne sono ossessionato».
Questo «teatro democratico della realtà» prese corpo già nel 2007, quando Rau costituì la compagnia di produzione che ancora dirige, non a caso denominata Istituto internazionale di omicidio politico (Iipm). E il suo scopo è arduo: «Io non aspiro a rappresentare il reale, ma che la rappresentazione stessa diventi reale». Come riuscirci? «Innanzitutto, gli attori devono essere consapevoli di quel che fanno». Poi? «La cosa deve essere posta da un'angolazione per cui il fatto è reale. Io non so perché è stata raccontata, ma è reale. La compresenza di questi due motori è il motivo per cui lo spettacolo funziona». E infine: «Perché l'uomo cominciò a riprodurre la realtà? Perché abbiamo ripetuto miliardi di volte la scena di un Dio morente? La cosa è perversa. Ecco, io cerco di capire la bellezza e la perversione che sono nell'atto della rappresentazione».
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