Sono passati dodici anni dal loro esordio, autoprodotto, «I soldi sono finiti», e con la velocità tipica di questi tempi si possono già considerare dei...
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«Fidatevi» ribadisce il suono che li ha fatti conoscere sinora: una bella energia, timbri spigolosi, anche aspri, dove appoggiare testi ben scritti. L'album, introdotto da un paio di singoli, «Fidatevi prima», e ora «Tra le vite degli altri», con un video girato in Bulgaria, tra Sofia e una festa tradizionale, raccoglie dodici pezzi, selezionati tra un ventaglio di composizioni più ampio, ammette anche un ospite speciale, Mauro Pagani, impegnato al violino. Poteva essere l'occasione per andare a Sanremo, allo Stato Sociale è andata bene: «Massimo rispetto per chi ci va, crediamo sia un'arte essere in gara e portare una performance di qualità, ma non ci piace andare a proporci, se ci invitassero potremmo anche pensarci. In passato accadde che, proprio quando Pagani si occupò di una sorta di direzione artistica, venne ventilata la possibilità: ma in quel caso non avevamo una canzone... Sarà per un'altra volta», ragiona Auteliano.
Intanto il mondo indie è diventato mainstream, una rivoluzione rispetto a quando i Ministri hanno iniziato a fare rock: «In questo universo le esplosioni sono veloci e gli avvicendamenti, i gruppi che spuntano e poi scompaiono, sono all'ordine del giorno. Anche la definizione indie ha sicuramente mutato profilo, sono arrivati management e strutture che con grande disinvoltura agiscono su più piani. Avere consapevolezza, operare senza ansia, né condizionamenti rimane la nostra maniera migliore per restare in questa orbita», punta i piedi a terra Dragogna. «Noi non inseguiamo una fruibilità radiofonica, la commerciabilità dei pezzi: abbiamo smesso anche perché resta difficile da capire una logica, se esiste. Il mainstream, spesso calcolato, inseguito, anche da gente ben preparata allo scopo, ha cambiato i modi di ascoltare e, dunque, di ideare musica. Ecco perché ci abbiamo serenamente rinunciato: d'altronde ci sono radio votate al rock che escludono il prodotto italiano, mentre altre emittenti tutte dedicate alla musica italiana possono lasciarci fuori perché troppo rock... Le radio non rappresentano e non raccontano il paese. Noi nemmeno forse, ma, nel fare questo disco, come suggerisce il titolo, ci siamo fidati esclusivamente dei nostri gusti, puntando alla sincerità, alla continuità con la nostra storia, per una serenità artistica che ci permette di tenere il timone dritto e di presentarci con le nostre facce e per quello che sappiamo fare: non ci sono sequenze, né basi, con la tecnologia impiegata al minimo. Così possiamo andare in concerto tranquilli e senza trucchi: sotto un certo punto di vista, anche questo è un bel lusso». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino