Ha attraversato oltre cinque decenni di musica. Ha abbracciato le tante anime della black music dal Gospel al Jazz, dallo Spiritual al Rhythm & Blues fino al pop più...
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Quella voce ora tacerà per sempre, al suo posto un silenzio sgomento. Aretha è morta, a 76 anni, nella sua casa di Detroit, in Michigan, dopo una lunga battaglia contro un tumore al pancreas, diagnosticato già nel 2010, che non le ha lasciato scampo. Le sue condizioni erano peggiorate negli ultimi giorni. «In uno dei momenti più bui delle nostre vite, non siamo in grado di trovare le parole appropriate per esprimere il dolore che abbiamo nel nostro cuore. Abbiamo perso la matriarca e il rock», ha fatto sapere la sua famiglia, che ringrazia per l'affetto ricevuto. Nei prossimi giorni verrà resa nota la data dei funerali.
Forse proprio la malattia l'aveva portata, lo scorso anno, a decidere prima di cancellare alcuni concerti e poi a dichiarare di volersi ritirare dalle scene. La sua ultima esibizione risale allo scorso novembre a New York al gala della fondazione di Elton John per la lotta all'Aids. Il suo ultimo concerto, invece, nel giugno 2017, quando tra l'emozione generale salutò il pubblico dicendo «per favore tenetemi presente nelle vostre preghiere». «Mi sento molto, molto soddisfatta per come si è evoluta la mia carriera», raccontava proprio in occasione della decisione di «andare in pensione». Eppure la strada verso il successo non è stata sempre illuminata dalle luci sfolgoranti del palco e del successo.
Nata a Memphis il 25 marzo 1942, a pochi metri dal leggendario studio della Stax, cresciuta a Detroit (la città della Motown), Aretha Louise è figlia di uno dei più famosi predicatori neri degli anni '50 e '60, mentre sua madre è pianista e vocalist. È proprio durante le celebrazioni officiate dal padre reverendo che la giovane cantante (dalla vita privata turbolenta, con due figli avuti a 15 e 17 anni) comincia a incantare chi la ascolta. Il modello di riferimento è quello del mondo gospel, ma non sembra trovare la sua dimensione, né i giusti riconoscimenti. Scritturata da John Hammond jr., viene messa sotto contratto dalla Columbia per la quale registra album jazzistici. Anni di buio, di risultati che non arrivano come vorrebbe, anni che la segnano. Sarà solo nella seconda metà degli anni Sessanta che la sua personalità e la sua unicità verranno fuori, grazie anche all'intuizione di Jerry Wexler, geniale produttore della Atlantic, che la rapisce alla Columbia e la sceglie per trasformarla nella Queen of Soul, grazie a una serie di registrazioni ai Muscle Shoals Studios in Alabama che sono tra i dischi più importanti e influenti della storia della musica popolare.
Nel 1967 arriva il singolo «(You Make Me Feel Like) a Natural Woman», nello stesso anno «Respect».
Il Mattino