Morto Antonio Casagrande, il figlio Maurizio: «Napoli non ha capito davvero la sua grandezza»

Morto Antonio Casagrande, il figlio Maurizio: «Napoli non ha capito davvero la sua grandezza»
«Perdere un genitore è una batosta. Perdere un genitore come il mio è una sciagura», dice Maurizio Casagrande. Addolorato, ma anche amareggiato:...

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«Perdere un genitore è una batosta. Perdere un genitore come il mio è una sciagura», dice Maurizio Casagrande. Addolorato, ma anche amareggiato: «Napoli on ha riconosciuto davvero la sua grandezza. Spero che adesso si renda conto di chi se ne è andato».

Per l'attore, 60 anni, papà Antonio era «un inglese nato a Napoli. Nel senso che era tremendamente innamorato della sua terra e insieme un rappresentante atipico della napoletanità. Eleganza e leggerezza, capacità espressiva e misura. Ma misura nel senso migliore, quando recitava non si risparmiava: eppure rendeva i personaggi con poco, come i grandi chef che propongono pochi sapori ma valorizzati al massimo». 

Un ricordo, tra i tanti, dell'attore teatrale.
«Ero perdutamente innamorato dei suoi recital vivianei dei primi anni '70. Ero un ragazzino, non sapevo valutare criticamente la sua grandezza ma mi arrivava istintivamente. Dopo, da attore, sono riuscito a leggere meglio quelle capacità e ho capito che l'istinto aveva ragione».

Nel cinema?
«C'è un film, La ragazza del bersagliere, che girò poco, apparteneva al filone della commedia sexy senza essere volgare: la protagonista non si spogliava e per questo ebbe poca fortuna. Era un Ghost ante litteram, il bersagliere moriva la prima di notte di nozze prima di consumare, ma poi tornava a farsi sentire dalla sposa. Papà era il protagonista, recitò con una dolcezza e una comicità fantastiche, oltre che con una bellezza unica. Era bellissimo».

Pesò, nel vostro rapporto, il fatto che facevate lo stesso mestiere?
«No, io ho cercato di non somigliargli. Se giochi a calcio e vuoi essere Maradona fai solo una figuraccia. Ma conservo una lettera in cui rivela la sua stima per me: ero giovanissimo, frequentavo la sua accademia e lo vedevo sempre abbastanza freddo nei miei confronti. Mai un elogio, mai una critica. Poi mi scrisse che mi trovava più bravo di lui alla sua età, e che pur se considerava il nostro un lavoro molto difficile non mi avrebbe fermato, dato che ero tanto capace. Avere la stima di chi ho stimato è stato un regalo della vita».

E negli ultimi tempi?
«Quando ero a Made in Sud mi chiamava il giorno dopo, a 90 anni passati, recensemdo i momenti migliori e peggiori dello spettacolo».

Eduardo è stato il suo faro.
«Enrico Maria Salerno stava preparando Questi fantasmi in italiano e per il ruolo del portiere voleva un napoletano che potesse rendere il personaggio senza troppa cadenza; chiese consigli a De Filippo e lui non ebbe dubbi: E chi l'adda fa'? Casagrande, disse il grande drammaturgo».

La sua città lo ha celebrato nel 2016 con una medaglia del Comune e con una serata in suo onore al Diana nel 2019. Ma, diceva prima, non abbastanza secondo lei. È stato davvero un artista incompreso, sottovalutato?


«È un mio grande dolore. Quando sono stati fatti omaggi ad Eduardo non è mai stato tra i capofila, eppure molti lo considerano il più bravo della classe di attori cresciuta attorno a lui. Perciò sarei contento che al suo funerale ci fosse molta gente, un grande attore deve stare sempre sotto i riflettori».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino