Morto Battiato, Cappuccio: «Un autentico intellettuale della Magna Grecia»

Morto Battiato, Cappuccio: «Un autentico intellettuale della Magna Grecia»
«Uomo della Magna Grecia piovuto nel Novecento. Uomo non di oggi o di ieri, ma... venuto da un sempre». Poi il dolore più personale: «Per lui la morte...

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«Uomo della Magna Grecia piovuto nel Novecento. Uomo non di oggi o di ieri, ma... venuto da un sempre». Poi il dolore più personale: «Per lui la morte è giorno di festa, perché segna la liberazione dal corpo e la rinascita. Siamo noi gli addolorati. Lo conoscevo da 25 anni. Perdo più di un amico. Franco è stato una delle persone più preziose della mia vita... sa, di quelle davvero rare, che riescono a cambiartela». Ruggero Cappuccio ricorda Battiato. Lo ospitò al «Napoli Teatro Festival», di cui è direttore, nel 2017. «Luce del Sud» s'intitolava il concerto, che aprì la rassegna il 5 giugno in piazza del Plebiscito.

Quale ricordo ne serba, Cappuccio?
«Ero felice anche perché lo era lui. Al di là di ogni manierismo consolatorio, stava bene a Napoli, città legata alla luce del Sud, e all'idea anarchica che tanto lo affascinava e che nel suo polo riconosceva. Durante le prove, colto, ma semplice e leggero, generoso, ironico, sempre curioso... dialogava con la gente che si fermava ad ascoltarlo. Il mio ricordo è luminoso, solare. Le stesse emozioni mi aveva già donato tempo prima. Dirigevo Benevento città spettacolo e lo invitai per un altro concerto, nel Teatro romano. Era il 2003».


Perché lo definisce uomo della Magna Grecia?
«Come la sua Sicilia, Franco era al crocevia del pensiero orientale e di quello occidentale. Siciliano contraddittorio. Amava la nebbia, che scoprì da ragazzo, a Milano. E mi raccontava che non poteva parlarne al suo paese. Lo avrebbero considerato pazzo. Siciliano che della propria terra custodiva il pensiero più antico e profondo, intessuto con la sapienza filosofica degli arabi e Federico II. I suoi stessi interessi filosofici e spirituali fondevano il Tibet, San Giovanni della Croce e Santa Teresa d'Avila, mistici dell'Occidente e, soprattutto, ribelli».


Una ribellione innanzitutto spirituale.
«A sedurlo era quell'intelligenza extrarazionale, profondamente amata e percorsa dal mondo della Magna Grecia. Con Platone, Franco sapeva che quel che vediamo è soltanto un'ombra sulla parete della caverna, non la realtà. E per tutta la vita ha cercato di emergere... oltre l'inganno».


Anche nella storia della canzone è stato un ribelle.
«Certo! Perché la prima ribellione l'ha fatta contro se stesso. Io lo definisco il rivoluzionario della sua monarchia, perché si è messo in discussione, ha capovolto il pensiero comune, ha distrutto i binari rettilinei dell'usuale cammino umano, diventando una pluri-identità: cantante, compositore, poeta, filosofo, ricercatore spirituale. Nella sua bella casa di Milo aveva un pianoforte, su cui gli ho sentito suonare quasi sempre soltanto Chopin».


Gli renderà omaggio al «Campania teatro festival»?
«Non quest'anno, ma il prossimo. Come me, lui non amava le celebrazioni frettolose e poco meditate».


Tra i poeti e gli scrittori siciliani, chi prediligeva?
«Bufalino; e, poi, il lato mistico del Gattopardo. Una frase del Principe di Salina lo sintetizza al meglio: per tutta la vita Battiato è andato in cerca di un appuntamento meno effimero con una stella, in una regione di perenne certezza».


La sua morte come una festa, diceva al principio.


«Franco considerava concluso il suo ciclo terreno. Così ritenne di Sgalambro, l'amico filosofo. Dopo la sua morte, consultò dei monaci tibetani per sapere dove si sarebbe reincarnato. Quelli gli risposero: in India. Poi, un giorno, si presentò alla sua porta la cameriera di Sgalambro, che gli raccontò: L'ho sognato, e mi ha detto che avrei dovuto portarle questa scatola. Dentro c'è una pipa indiana».

 

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Il Mattino