Addio a John Prine, l'America perde uno dei suoi grandi cantori

Da sinistra: Bruce Springsteen, John Prine, Bob Dylan
Il Covid-19, maledetto Covid-19, si è portato via ieri anche John Prine, uno dei grandi cantautori americani. Aveva 73 anni, era ricoverato in un ospedale di Nashville dal...

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Il Covid-19, maledetto Covid-19, si è portato via ieri anche John Prine, uno dei grandi cantautori americani. Aveva 73 anni, era ricoverato in un ospedale di Nashville dal 26 marzo, aveva contratto il coronavirus al fianco della moglie Fiona, che in questi giorni ha tenuto aggiornati i fan sulle condizioni del marito.


Kris Kristofferson lo scoprì in un piccolo club di Chicago nel 1971 e lo lanciò, Bob Dylan lo ha sempre considerato un grande («Le sue cose sono puro esistenzialismo proustiano … e scrive bellissime canzoni»), Bruce Springsteen ha ricordato che "negli anni '80 io e John eravamo considerati "i nuovi Bob Dylan", per Johnny Cash era una delle sue quattro fonti di ispirazione, per «Rolling Stone» era il «Mark Twain della canzone americana». Caro a Roger Waters, ma anche a Bonnie Raitt, Bette Midler e John Fogerty che hanno interpretato alcuni dei suoi brani, è stato considerato un ispiratore anche da generazioni di musicisti più recenti, come i My Morning Jacket e Dan Auerbach, che collaborò da autore al suo ultimo album.

Nato e cresciuto a Maywood, nell'Illinois, da genitori di origine contadina del Kentucky, dopo una parentesi in Germania Ovest come soldato si trasferì a Chicago, dove appunto iniziò la sua carriera. Gli amanti del country celebrano i suoi primi tre album per la Atlantic Record più di quelli successivi per la Atlantic, ma ancor più quelli per la sua etichetta personale, la Oh Boy Records, compreso «The tree of forgiveness» del 2018, arrivato sino al quinto posto nella classifica di vendita statunitense, molto più in alto di un capolavoro come «Common sense» del 1975.

Nel 1998 era stato operato di un tumore al collo e l'operazione gli aveva intaccato  parte dei nervi del collo provocando una temporanea immobilità della lingua, ma recuperò la piena funzionalità della voce. Nel 2013 era stato di nuovo operato, per un tumore al polmone sinistro: sei mesi dopo l'intervento era già in scena, si dice che per ritrovare il tono fisico e soprattutto il fiato salisse e scendesse le scale di casa cantando almeno due canzoni accompagnandosi con la chitarra.


Le sue canzoni hanno raccontato con empatia chi viveva ai margini del sogno americano, dal veterano di guerra imbottito di farmaci («Sam Stone») agli anziani abbandonati a se stessi («Hello in there», «Angel from Montgomery»), ma la sua canzone più celebrata rimane «Speed of the sound of loneliness». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino