Violoncellista e compositore, Paul John Buckmaster, scomparso a Los Angeles a 71 anni, è stato quasi l'inventore dell'uso degli archi nel...
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Nato a Londra il 13 giugno 1946, Paul a 4 anni iniziò a studiare il violoncello, strumento di cui diventerà un virtuoso che non farà mai pesare la sua maestria sapendo mettersi al servizio di un «suono collettivo», a 11 vinse la borsa di studio per la Royal Academy of Music. Ma la mamma - napoletana, diplomata al San Pietro a Majella, aveva incontrato il padre, soldato inglese, al San Carlo, poi l'aveva sposato e l'aveva seguito a Londra - voleva che studiasse in quello che era stato il suo conservatorio: tanto fece che riuscì a procurargli una borsa di studio, permettendogli in infanzia di frequentare anche il San Pietro a Majella per due-tre anni di cui ha portato sino alla fine il ricordo nel cuore.
Lunghissima la lista degli artisti con cui ha lavorato: Rolling Stones («Sticky fingers»), Leonard Cohen («Songs of love and hate»), Grateful Dead («Terrapin station»), Mott the Hoople, Kevin Ayers, Third Ear Band, Nucleus, Harry Nilsson, Carly Simon, Faith Hill, Backstreet Boys, The Darkness, Keith Urban, Celine Dion, Ben Folds Five, Mika, Michael Bublè, Tears for Fears, Faith Hill... In Italia aveva lavorato con Angelo Branduardi (fondamentale fu il suo apporto all'lp di debutto), Teresa De Sio (era orgoglioso, anche per motivi di sangue, delle sue riletture dei classici napoletani contenuti in un disco troppo presto dimenticato come «Toledo e regina»), Tony Esposito («Rosso napoletano»), Riccardo Cocciante e Mina.
Nel 2001 aveva vinto un Grammy come miglior arrangiatore per «Drops of Jupiter» dei Train, per occuparsi poi anche di «Chinese democracy» dei Guns'N'Roses. Attivo anche nel campo delle colonne sonore, era fiero del lavoro per «L'uomo che cadde sulla terra», ancora con Bowie, e «Le dodici scimmie» di Terry Gilliam.
Ernesto Vitolo e Salvio Vassallo, tra gli amici napoletani con cui si teneva in contatto via web, lo ricordano come un vero gentleman, oltre che come una leggenda della musica che si raccontava sempre minimizzando il suo apporto a dischi e canzoni storiche. Di tutti parlava bene, tranne di Elton John, che non aveva sentito vicino - anzi, che non era proprio riuscito a sentire - in un momento in cui ne aveva avuto bisogno. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino