«Bentornato, maestro»: la Scala festeggia Muti dopo undici anni di assenza

«Bentornato, maestro»: la Scala festeggia Muti dopo undici anni di assenza
Pergolesi («Lo frate nnamorato») e Paisiello («Nina, o sia la pazza per amore»). C'è anche un pezzo di Napoli, della sua musica e delle sue...

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Pergolesi («Lo frate nnamorato») e Paisiello («Nina, o sia la pazza per amore»). C'è anche un pezzo di Napoli, della sua musica e delle sue radici, nella grande mostra che il Teatro alla Scala dedica a Riccardo Muti in occasione dei 75 anni che il maestro napoletano compirà il 28 luglio. Domani l'inaugurazione. Ma l'evento è già oggi, quando il maestro tornerà sul palco del Piermarini dove manca dal 2 maggio del 2005, giorno del suo ultimo concerto con i Wiener Philharmoniker.


Ma, al momento, niente musica. Per sentirlo dirigere a Milano bisognerà attendere il 20 e 21 gennaio i due concerti con la Chigago Symphony, la sua orchestra americana con la quale sarà in tournée in Europa. Muti però oggi romperà il silenzio e alle 20 salirà sul palco per raccontare e raccontarsi in un incontro pubblico stimolato da Lorenzo Arruga, curatore della mostra allestita nel museo del teatro. Foto, locandine, contributi audio e video per dire di Muti alla Scala, dove è stato direttore musicale dal 1986 al 2005, fino al burrascoso addio. Il lungo corteggiamento da parte del sovrintendente Pereira, le parole dell'attuale direttore musicale Riccardo Chailly («È necessario che alla Scala dirigano i più grandi direttori del mondo, e in particolare chi è entrato nella storia del teatro dando un contributo artistico straordinario come Riccardo Muti»), hanno contribuito alla rinascita di un rapporto che si sigla ora con i concerti, la mostra, l'odierno incontro con il pubblico.

Inutile dire che in sala non c'è un posto vuoto, a ruba i biglietti omaggio distribuiti qualche giorno fa. In prima fila i mutiani di sempre, gli «orfani» che lo hanno seguito ovunque in giro per il mondo e non hanno mai disperato per un suo rientro al Piermarini. Un rientro, stando a chi lo conosce bene, che il maestro ha vissuto in questi giorni con la massima serenità. Anche se pare abbia rinunciato a una visita pubblica alla mostra che gli è stata dedicata. Dovrebbe vedere l'esposizione oggi stesso lontano dalla curiosità di giornali e telecamere, prima di rientrare nella sua casa di Ravenna e poi negli Stati Uniti per chiudere il settimo anno alla guida della Chicago Symphony.La mostra si concentra su aree tematiche circoscritte: l'attività sinfonica (più i 370 i concerti in tutto il mondo con la Filarmonica della Scala), quindi Mozart, Verdi, Wagner e il percorso tra riforma gluckiana, neoclassicismo e belcanto. In questo contesto lo spazio dedicato a due capisaldi dell'opera napoletana del Settecento, a Paisiello e Pergolesi, autori e temperie culturali approfonditi anche successivamente dal maestro negli anni in cui ha guidato il Festival di Pentecoste a Salisburgo dedicato proprio alla riscoperta di quei capolavori, spesso nascosti da secoli, che tanto hanno influenzato il mondo musicale dell'epoca e il genio di Mozart.Ed è lui, Amadeus, al centro della mostra in una stanza in cui rivivono storici allestimenti scaligeri, dal celeberrimo «Don Giovanni» con la regia di Strehler a «Così fan tutte», «Le nozze di Figaro», a «Idomeneo» e «Die Zauberflöte». Maiche serate di Sant'Ambrogio, le ultime due opere, con gli spettacoli firmati da Roberto De Simone.

Il segno di un forte sodalizio umano e culturale quello tra Muti e lo studioso napoletano che dopo l'esordio con Pergolesi (fu poi successivamente un altro regista napoletano, Ruggero Cappuccio, a firmare la «Nina» di Paisiello), portò anche alla realizzazione di altri allestimenti memorabili, tra cui «Orfeo e Euridice» e un «Nabucco» con Bruson e la Dimitrova, sempre in apertura di stagione. Uno dei tantissimi appuntamenti verdiani al centro degli interessi del direttore napoletano che negli anni scaligeri sulle orme di Toscanini ha riscritto la storia dell'interpretazione di tanti capolavori: «Ernani», «Attila», «I due Foscari», «Macbeth», «Otello», «Falstaff», «Don Carlo», «La forza del destino», «I vespri siciliani» e «Un ballo in maschera». Senza dimenticare ovviamente i titoli della cosiddetta trilogia popolare: «La Traviata», «Rigoletto», «Il Trovatore». Opere messe in scena alternate con Wagner, Rossini, Puccini, Leoncavallo, Mascagni trovando sempre spazio per riproposte e rarità tra le quali l'amato Cherubini («Lodoïska»), Poulenc («Les dialogues des Carmélites»), Spontini («La vestale») per concludere con Salieri («Europa riconosciuta»).


Era il 7 dicembre 2004 e Muti riaprì il teatro restaurato dopo l'«esilio» agli Arcimboldi con l'opera rappresentata per la prima volta in occasione dell'inaugurazione del teatro, il 3 agosto 1778. L'ultimo successo, poi una serie di screzi e incomprensioni che portarono al clamoroso addio. Anzi, l'arrivederci. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino