Riccardo Muti lo sottolinea subito: «C'è poca Napoli nel Così fan tutte nonostante il libretto preveda l'ambientazione in una villa affacciata sul mare...
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Tutto, nel nuovo allestimento che il San Carlo presenta da oggi sotto la guida del direttore napoletano, ha il sapore della musica. La trasparenza delle note si riflette nei veli che circondano la scena, un sipario, gli abiti delle protagoniste. Il flusso dei sentimenti, nelle onde del mare, immobile, sempre presente sullo sfondo. La personalità dei protagonisti negli specchi che circondano la scena, le pareti, i pavimenti. «Tutto è un po' sospeso, l'illusione è più reale della realtà stessa», nota Chiara, attrice, regista, per anni alla scuola di Strehler, al San Carlo già lo scorso anno con le «Nozze di Figaro» per cui aveva inventato un divertente gioco teatrale. «Ma qui», dice, «tutto è diverso, questa è un'opera metafisica, è una riflessione profonda sul nostro essere umani, uomini o donne non importa».
«Ho sempre sostenuto che l'opera potrebbe benissimo intitolarsi Così fan tutti», insiste il direttore. «Non sono solo le donne a tradire». Il maestro, studiando su una copia del manoscritto originale, ha individuato una cancellatura, una delle poche dello scritto mozartiano, che fa chiarezza su questo aspetto: «Nel duetto tra Fiordiligi e Ferrando nella prima versione il corteggiatore cantava a che omai la sua costanza (...) incomincia a vacillar. Mozart cancella sua modificandolo con mia. Fiordiligi inizia a manifestare qualche cedimento nei confronti del corteggiatore, ma anche Ferrando non finge più e si sta innamorando della sorella della fidanzata, Dorabella». Insomma, dice Muti, «l'opera lascia l'amaro in bocca, il gioco inventato da Don Alfonso per smascherare i sentimenti femminili non è altro che il gioco della vita, un gioco perverso ricco di ammiccamenti erotici e doppi sensi evidenziato dal sottotitolo: La scuola degli amanti».
Il direttore, appassionato mozartiano, ha una lunga esperienza del titolo. «La prima volta», racconta, «fu a Salisburgo, nel 1982. Ero in tournée negli Stati Uniti con la Filarmonica di Londra. Mi telefonò Karajan in persona invitandomi a dirigere al suo festival. Mi disse che aveva avuto notizie della mia lettura mozartiana delle Nozze al Maggio Fiorentino che avevo eseguito nella stagione precedente e pensava che fossi la persona adatta anche a quest'altro titolo della trilogia italiana. Avevo un po' di dubbi se accettare, Così era stato il cavallo di battaglia di Karl Bohm, ma lui fu fermo: Voglio che lo faccia lei, mi dica subito sì o no, dissi di sì. Fu un trionfo. Ho diretto quella produzione con la regia di Hampe per altre tre edizioni consecutive del festival: 83, 84 e 85 e di nuovo nel 90 e nel 91. E, nel frattempo, anche alla Scala nell'83».
Ma c'è un'altra edizione che il maestro ricorda con particolare affetto: «A Vienna al Theater an der Wien nel 94 per i Wiener Festwochen con la regia di Roberto De Simone con le scene di Mauro Carosi e i costumi di Odette Nicoletti, un gruppo di napoletani straordinari che fecero in modo da far respirare agli spettatori l'aria e lo spirito di Napoli, e la sua grande tradizione musicale». Elementi che non possono non emergere dalla lettura attuale del capolavoro mozartiano, note che traggono linfa dal Settecento napoletano frequentato da Muti proprio a Salisburgo per cinque anni al festival di Pentecoste da lui diretto: «Mozart non sarebbe stato quello che è stato senza gli angeli napoletani che dominarono nel mondo della musica europea prima di lui, personaggi come Pergolesi, Vinci, Leo, Jommelli, Cimarosa, Paisiello...». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino