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Al debutto a Pescara, il 3 aprile, Nino D'Angelo era un po' stranito: «L'emozione di tornare sul palco, di ritrovare l'abbraccio del popolo delle mie canzoni, c'era tutta, ma appena sono salito in scena e ho guardato in platea del teatro ho visto l'onda d'amore e d'entusiasmo del pubblico coperta dalle mascherine. Certo, cantavano si sgolavano, erano felici di tornare a vivere uno spettacolo, ma... mi ha preso strano. Arrivato a Palermo ci avevo già fatto l'abitudine, imparando a riconoscere quei volti nascosti per pandemia». Sabato a Napoli sarà, come sempre quando torna a casa, un'occasione speciale: «Per me di sicuro, per i miei fan pure, credo».
«Il poeta che non sa parlare», come tutti i suoi colleghi, è rimasto fermo a lungo. Questi concerti dovevano arrivare dopo l'uscita del disco e del libro con lo stesso titolo.
«Meglio tardi che mai, intanto hanno imparato le canzoni dell'album e sono pronti ad ascoltare i racconti che ho messo su carta. Nella prima tranche ho notato che, finalmente, ho messo insieme il pubblico che mi segue da sempre e quello della seconda ora, quello popolare che amava lo scugnizzo in jeans e maglietta e quello dello sdoganamento intellettuale, dei suoni etnici, dei testi più sociali».
Sembra quasi di sentirti parlare delle «due Napoli», per citare Rea.
«Ci sono tante Napoli, ma sicuramente la divisione più importante è quella: centro e periferie, su Napoli e giù Napoli, Napoli bene e Napoli...
Ma agli appassionati del caschetto biondo si può suggerire un brano della tua produzione più tarda? E, al contrario, a chi ti ascolta da «Ciucculatina d''a Ferrovia» in poi, c'è un pezzo degli esordi da consigliare?
«Innanzitutto senza quel cantante dei primi tempi non ci sarebbe mai stato quello di Senza giacca e cravatta. E, poi, un brano come Mezza canzone lo firmerei anche adesso. E pezzi come Cattive penziere potevano appartenere al mio debutto».
Manchi in città dal tour con Gigi D'Alessio. Trovi un nuovo sindaco e una squadra che punta allo scudetto.
«Come hai detto?».
Scaramantico?
«Non ti ho nemmeno sentito. Stiamo zitti, che quando stiamo zitti... poi viene il tempo di urlare al cielo».
Va bene, dicevamo di Manfredi.
«L'ho conosciuto, ci siamo presentati, gli ho confessato che avevo votato per Bassolino, resto amico di Antonio e so quanto gli devo. Ma il sindaco questo lo sapeva già. Spero di rivederlo presto, magari a qualche mio show, ma, anche se è prestissimo per giudicare il suo operato, mi sembra che porti fortuna».
Nel senso che potrebbe essere il sindaco del terzo scudetto?
«Ridaglie! Nel senso che con lui sono arrivati dei soldi importanti, no? Ora bisogna saperli spendere ed approfittare del momento buono della città, tra le metropoli a cui il mondo guarda. Noi artisti stiamo beneficiando di questa situazione, sarebbe bello che anche i napoletani potessero accorgersene, che non solo per una sera al Palapartenope le due Napoli si ritrovassero insieme, così lontane, così vicine».
Ospiti sul palco?
«No: in platea il popolo delle mie canzoni, sul palco le canzoni del mio popolo. Sono quarant'anni da 'Nu jeans e na maglietta, il brano che ha cambiato la mia vita. E il 21 giugno compio 65 anni. Le ragioni di fare festa ci sono: anche se con le mascherine, stiamo ricominciando a vivere. Con negli occhi e nel cuore gli orrori delle immagini che arrivano dall'Ucraina. La mattina accendo la tv, leggo i giornali e... dubito dell'umanità. Poi cerco attorno a me le ragioni per andare avanti, per non perdere la speranza. Cantare mi serve anche a questo». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino