Sotto le stelle del jazz e sotto una luna piena ischitana, l'avvocato-cantautore espugna il Negombo con un concerto breve - Paolo Conte ha 78 anni - e perfetto,...
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L'inizio è affidato a «Ratafià», evocazione di gauchi e amanti stanchi tra francesismi trasportati in Sud America e «pudor» che fa rima con «sudor». Poi la scaletta è implacabile, illuminata di intenso da «Sotto le stelle del jazz» con la sua storia di carbonari provinciali della musica afroamericana, da «Come dì», con la sua orchestra «illusa a Napoli e poi sgridata a Minneapoli», con la sua «antica amante vista a Napoli con lontanissimi binocoli». Se la vita è una «comédie humaine» l'antica Partenope è cornice esotica come le Ande, come una balera d'altri tempi, come una giungla «Alle prese con una verde milonga». Classicissimi della migliore canzone d'autore italiana, perfezionati dall'affiatamento del gruppo diretto da Daniele Di Gregorio, tra «brass» all'unisono e solisti mai banali, dal violino alla fisarmonica. Dall'ultimo album arrivano la title track, «Snob», «Argentina», e, unico bis, «Tropical». «Una giornata al mare» è delizia in bianco e nero, l'avventura impossibile di «Aguaplano» chiude il primo set. Il secondo è persino più «spietato», inanellando «Dancing», le lacrime salate di mare di «Gioco d'azzardo», l'armonia jazzistica di «Gli impermeabili», la reverie di «Madeleine», «Vieni via con me», «Max», l'odissea contadina di «Diavolo rosso» con l'omaggio al mito minore di Gerbi, ciclista-gregario astigiani con cui sarebbe dolce dividere almeno un'aranciata. Già, una bibita proletaria, non un cocktail alla moda, che Conte non conosce mode, ma i migliori modi della narrazione in musica, del poetar cantando, del suono armato di parole scolpite come un deja-vu collettivo.
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Il Mattino