Con la fedele mandolina costruitagli da Umberto Amato, Piero Gallo ha scritto con orgoglio e passione la seconda parte della sua carriera di musicista. Da chitarrista ritmico, e...
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Con «Benite», nel 2009, ha iniziato la sua avventura solista, sulle strade di un suono mediterraneo, fusion, contaminato, orgogliosamente meticcio. Un percorso continuato con un'originalissima rilettura dei Beatles, «NapoLIverpool», ed ora con «Papaij», cd appena pubblicato dalla neonata Mommò Record.
Confermando la scelta strumentale degli album precedenti - anche la voce di Enzo Gragnaniello, uno dei suoi compagni d'avventura, come Peppe Barra, qui è usata come strumento, sottile mantra newpolitano - Gallo pizzica le sue corde con il piglio di un acustico Santana vesuviano, che voglia ribadire l' identità di provenienza a ogni piè sospinto, ma concedendosi derivazioni e derapamenti arabi e greci e vestendo poi le composizioni - non sempre originalissime - come certa new age al confine con la world music.
La tromba davisiana di Fabrizio Bosso è tra le cose più originali di un disco che brilla per il suono del suo titolare, ottimamente affiancato: Gigi De Rienzo, Rosario Jermano, Alfredo Golino, Roberto Giangrande, Michele Signore, Mimmo Maglionico, la banda di Pino Ciccarelli, Fabrizio Cesare, Rosario Fiorenzano, Salvatore Brancaccio, Angelo Adamo, contribuiscono a un racconto che disegno di copertina e note interne immaginano essere quello di un tenero marziano di colore olivastro sbarcato nella città delle sirene.
«'A tengo dint''o core» sembra quasi riscrivere «Vierno» e potrebbe suggerire una nuova tappa nell'itinerario di Gallo, usando la sua mandolina per rileggere i classici della canzone napoletana, antica e moderna. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino