Renato Zero: «Il tempo passa, meglio viverlo»

Renato Zero: «Il tempo passa, meglio viverlo»
Renato Fiacchini, 72 anni il 30 settembre, non è stato mai così prolifico. Con il suo alter ego Renato Zero ha pubblicato in pandemia un albun triplo a puntate,...

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Renato Fiacchini, 72 anni il 30 settembre, non è stato mai così prolifico. Con il suo alter ego Renato Zero ha pubblicato in pandemia un albun triplo a puntate, «Zerosettanta», con ben 39 brani, ed ora rilancia, con un doppio cd più libro con altri 37 brani, per due ore di durata.

Zero come Stakanov? Problemi di bulimia artistica?
«Parlerei di paura del calendario, che suggerisce di non lasciare spazi vuoti. Tra un po' potrei non avere più le gambe, magari finirò a languire in uno studio di registrazione. Non voglio rinunciare alla speranza, i 72 ani sono più preziosi dei 18. Diciamo che ho un grande futuro dietro le spalle, che il futuro a venire sarà più corto, ma voglio viverlo in pieno».

Il futuro prossimo, anzi ormai il presente, visto che «Atto di fede» esce domani, è un «Atto di fede», in cui celebri la tua religiosità cattolica. Sono ormai lontani gli anni in cui sbeffeggiavi la morale e il comune senso del pudore italiota con «Madame», «Mi vendo», «Il triangolo»?
«Sono lontani gli anni, non quel Renato, anche la pandemia l'ho vissuta sui marciapiedi, senza perdere il contatto con la vita vera, con la gente vera. All'epoca ho subito la censura, ricordo ancora con rabbia la chiusura del tendone di Zerolandia nel 1982, ma ho continuato sulla mia strada controcorrente. E oggi è controcorrente questo oratorio che vuole accarezzare Dio da vicino. Ci siamo scordati di lui da troppo tempo. Volevo fare i complimenti a Dio per aver mantenuto la mia fede intatta in tutti questi anni».

Zerofolle ma anche Zerocattolico, allora?
«Molto, da sempre, alla mia maniera. Il contatto con Dio è individuale, senza mediazioni. Rispetto sacerdoti e Chiesa, ma il rapporto con il Signore è molto personale e la fede ci dà il coraggio di osare. Voglio ringraziare Dio anche per il dolore, che comprendiamo solo dopo essere inciampati nel buio. Mio zio Pietro, fratello di mio padre, era prete, fu mandato al confino a Brondoleto di Castelraimondo, provincia di Macerata, perché aveva nascosto dei partigiani. Nel tendone di Zerolandia facevo concerti anche il giorno di Natale e interrompevo lo show a mezzanotte per far salire sul palco un sacerdote per la messa. E, ogni volta che inizio a cantare, mi faccio il segno della croce».

Si canta Dio, con le voci impostate di Giacomo Voli e Lorenzo Licitra, ma anche di migranti, di esclusi, nel disco.
«Mi sono ispirato ai mali del mondo, ai dolori che portiamo dentro, al pianeta che piange, alla nostra incapacità di ascoltarlo. Tutti, potenti e non, miliardari e gente semplice rifuggiamo dalle nostre responsabilità. Ecco perché sentiamo la puzza di polvere da sparo, ecco perché la sentivamo anche prima della guerra in Ucraina».

Il tuo «Atto di fede» contiene canzoni, musiche sacre arrangiate dal napoletano Adriano Pennino, ma anche quindici lettere affidate alle voci di Pino Insegno, Giuliana Lojodice e Luca Ward. C'era davvero bisogno di allungare così tanto il brodo?
«Non volevo parlare di Dio da solo, sentivo il bisogno di essere in compagnia. Mi sono rivolto ai miei apostoli della comunicazione: scrittori, filosofi, giornalisti: Alessandro Baricco, Luca Bottura, Pietrangelo Buttafuoco, Sergio Castellitto, Aldo Cazzullo, Lella Costa, Domenico De Masi, Oscar Farinetti, Antonio Gnoli, don Antonio Mazzi, Clemente J. Mimun, Giovanni Soldini, Marco Travaglio, Mario Tronti, Walter Veltroni. Ci siamo ammalati di silenzio, un silenzio che sbarra le porte e lascia il posto all'inquietudine. Ci siamo ammalati di indifferenza. Ci siamo addormentati. E i potenti, intanto, gli uomini della politica, disattendono le nostre esigenze, bisogni, richieste».

Avevi fatto ascoltare le canzoni dell'album anche ad Andrea Bocelli. Ma passiamo ad altro: perché presentare «Atto di fede» seduto sotto la statua del Marco Aurelio in Campidoglio?
«Perché, dopo essermi sentito straniero a casa mia, finalmente mi sento romano a Roma, benvoluto, considerato. Quello che manca a Roma è la voce dei romani: a Trastevere ormai si parla inglese. Perché non spostiamo il governo a Torino? Anche perdendo il titolo di capitale, siamo già capitale del mondo. Liberiamo la città e riconsegniamola ai romani».

Il sindaco Gualtieri, intanto, è felice di festeggiare, con il ritardo causato dalla pandemia, i tuoi 70 anni: sarà la tua prima volta al Circo Massimo, quattro show, il 23, 24, 25 e 30 settembre, giorno del tuo compleanno.


«Il Circo Massimo è un premio alla mia romanità. Farò una cosa diversa da tutte quelle sinora viste lì, mi farò gladiatore per conquistarmi ancora una volta l'applauso: di Renato ce n'è uno, tutti gli altri so' nessuno. Eviterò commenti del tipo: Quella cosa l'ha fatta già Springsteen, sarò originale come i miei costumi: porterò con me fantasia, colori, un'orchestra, una band, musicisti in carne ed ossa, non macchine». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino