È più difficile arrivare al successo o mantenerlo? «Pe’ l’età che tengo», ovvero 32 anni, dice Andrea Sannino citando uno dei pezzi...
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Squadra che vince non si cambia?
«Proprio così, l’etichetta del disco è la stessa di “Abbracciame”, lo staff compositivo pure con Pippo Seno e Mauro Spenillo, più “Na vita sana” che è un regalo di Gigi D’Alessio, e le collaborazioni di Antonio Spenillo e Antonio de Carmine».
Perché «Andrè»?
«Sono di Ercolano, napoletano adottivo, ma dopo il boom di “Abbracciame” c’era chi mi diceva che per fare sul serio avrei dovuto cantare in italiano. E io ho fatto un nuovo disco in napoletano, scegliendo per titolo il mio nome, ma come lo pronunciano a casa, dalla nonna, nel vicolo».
«Natu napulitano», insomma, per dirla con un pezzo in cui citi Troisi, ma anche Gaber.
«Certo, ma uno dei tanti napoletani possibili: tra un mese mi sposo, ma non alla maniera del “matrimonio napoletano” della tv. Quel pezzo è nato quando si discuteva sugli effetti di “Gomorra”: la serie mi piace, non lo stereotipo che ci vuole tutti uguali».
«Pe’ l’età che tengo» è uno dei primi pezzi che hai scritto.
«Sì, alle canzoni d’amore ci sono arrivato dopo, prima ho tirato fuori la rabbia per le cose che avevo vissuto, per la camorra che avevo visto nelle mie strade, per quel ragazzo che era dovuto crescere troppo presto, come tanti, soprattutto in provincia, in periferia».
Quanto di antico, di tradizionale, di canzone napoletana classica c’è nel tuo fare musica? E quanto di contemporaneo, di moderno?
«Amo Bruno Mars e Mario Merola, sono in mezzo a queste due cose e non voglio sceglierne una sola».
Brandisci la tua identità verace come una clava in «Nuie stamme ancora cca’» e «Vico Santa Rosa», fai il trottolino amoroso in «Lassame cu tte» e in «Carnale», tra la melodia infili qualche groove o qualche suono più moderno.
«E ci sono tammorre in “’O re”, c’è la collaborazione con Dadio “Foja” Sansone in “Senza fuji”: chi l’ha detto che siamo distanti, che non dobbiamo divertirci insieme?»
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Il Mattino