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Coartati in gara Francesco Guccini e Pino Daniele, ma persino Cccp e Csi, il Sanremo 2021 si finge Premio Tenco con una serata delle cover dedicata alla «canzone d'autore», definizione le cui maglie ormai sono state così allargate che va da Sergio Endrigo (sempre sia lodato) a Nesli. L'elenco delle canzoni, e degli ospiti, in teoria promette bene, ma, anche per problemi tecnici, incarta nell'effetto karaoke Noemi con Neffa («Prima di andare via»), o Renga-Casadilego («Una ragione di più»), figurarsi Fulminacci con Lundini («Penso positivo»), non basta la tromba di Roy Paci a salvarli.
Originali gli Extraliscio con un medley indiavolato e bregovizzato tra «Rosamunda» e «Casatchock» introdotto dal trautonium di Peter Pilcher. Delicati Arisa e Michele Bravi, ma «Quando» non è canzone da duetto, come forse anche «Mi sono innamorato di te» (Gaia/Lous and the Yakuza, brave e belle comunque). Rigoroso Ermal Meta con una «Caruso» verace nel trillar della Napoli Mandolin Orchestra, omaggio nell'omaggio a Dalla, visto il compleanno: la serata inizia con i Negramaro alle prese con «4 marzo 1943».
Il problema è che i capolavori bisogna saperli trattare: cosa aggiunge Aiello (più Vegas Jones) a «Gianna» di Rino Gaetano? Nulla, anzi toglie, quasi i due non sapessero che cosa cantano.
La Rappresentante di Lista coinvolge la Rettore nell'italo-disco di «Splendido splendente», più queer pop di così non si può. Fasma e Nesli devono ripetere «La fine» per problemi di microfono. Irama canta (bene, anche se è la registrazione di una prova) «Cirano», introdotta dalla sola voce, stanca, di Guccini, che riempie l'Ariston facendoci davvero sentire a un Premio Tenco d'altri tempi. Come Colapesce-Dimartino, che cesellano «Povera patria» con il supporto sul finale del cameo virtuale di Battiato: «La primavera intanto tarda ad arrivare». I Maneskin con Manuel Agnelli pagano pegno ai Cccp di «Amandoti», collegandosi a Max Gazzè e Daniele Silvestri alle prese con «Dal mondo» dei Csi. Sembra quasi che Sanremo si voglia confrontare, o appropriare, della musica cresciuta altrove. O che non ci sia più differenza tra un repertorio e l'altro nel «paese della musichette» di cui canta Willie Peyote citando «Boris».
Random chiede una mano a The Kolors per «Ragazzo fortunato» ma stona troppo, Orietta Berti non avrebbe bisogno della Deva per «Io che amo solo te», Gio Evan incasina «Gli anni» con i reduci di «The voice senior». Annalisa aggiunge (ma perchè?) rock e Fede Poggipollini a «La musica è finita». Lo Stato Sociale («Non è per sempre» degli Afterhours) con Francesco Pannofino porta in scena - ed è un cazzotto - la lotta dei lavoratori dello spettacolo. E molti dei 26 concorrenti indossano i simboli della campagna «i diritti sono uno spettacolo», ideata per tenere alta l'attenzione su uno dei settori più penalizzati dagli effetti della pandemia.
Cover nelle cover, Ibrahimovic - arrivato in ritardo perché bloccato per strada da un incidente - divide «Io vagabondo» dei Nomadi con Mihajlovi («un'amicizia nata con una testata») e gli Amarello. Ad Achille Lauro statua d'oro (con Monica Guerritore e Emma per «Penelope») e alla top model Vittoria Ceretti l'aggiunta di quel glamour che quest'anno latita. Ma nessuno dei due è Elodie, bisogna dirlo.
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