Sophia Loren, il figlio Edoardo Ponti: «La guerra in tv ricorda a mamma i traumi sofferti»

Sophia Loren, il figlio Edoardo Ponti: «La guerra in tv ricorda a mamma i traumi sofferti»
Parlare di Sophia Loren con Edoardo Ponti, regista e figlio della grande attrice, è un doppio privilegio. Nessuno la conosce meglio di lui: è sua la regia...

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Parlare di Sophia Loren con Edoardo Ponti, regista e figlio della grande attrice, è un doppio privilegio. Nessuno la conosce meglio di lui: è sua la regia dell'ultimo film della diva, «La vita davanti a sé», come dei precedenti «La voce umana» e «Cuori estranei», e nella vita il loro legame profondo, la loro complicità, è commovente. Con uno sguardo Sophia e Edoardo si dicono tutto. Lei a Ginevra, lui a Los Angeles con la sua bella famiglia, si vedono appena possono e si sentono continuamente. Il libro sull'Oscar vinto dalla Loren nel 62 per «La ciociara», domani in edicola con «Il Mattino», diventa, così, un'occasione per riflettere con Edoardo sulla carriera straordinaria di una star che ha sempre unito all'eccezionale professionalità un carisma e un'umanità altrettanto grandi. 

Il ruolo di Cesira che sessant'anni fa consacrò il suo mito nel mondo è un simbolo senza tempo del coraggio delle donne contro la guerra. E oggi torna di drammatica attualità. Sophia Loren come vive questo momento?
«Mia madre non ha mai dimenticato la sua infanzia a Pozzuoli, in piena seconda guerra mondiale, con la paura delle bombe, la fame patita, la povertà. Da qui nascono la sua forza e la sua identità più vera. Quando vede in televisione le orribili scene delle atrocità che si stanno commettendo nel cuore dell'Europa, ripiomba in quella realtà ancora così viva nel suo cuore. Come tutte le persone che hanno subito un trauma, le sembra che sia passato solo un minuto da quei tragici fatti di settant'anni fa».

Accade la stessa cosa a Madame Rosa, la protagonista di «La vita davanti a sé»: sopravvissuta al lager nazista, a volte si annichilisce rivivendo il terrore di quel lontano incubo. Ma con la sua vita testimonia il valore della resilienza.
«Sì, il dolore non passa mai, ma la cicatrice della ferita diventa la sua forza. Madame Rosa riesce a trasformare la sua vulnerabilità in empatia. Capisce la sofferenza, si cala nel dolore degli altri. Anche questa è una lezione importante e mia madre ne dà prova nel suo modo di fare cinema».

In che senso?
«Mia madre non è un'attrice nell'accezione tradizionale del termine, non si accontenta di dare un'interpretazione convincente del personaggio, deve sentirlo, calarsi totalmente nella sua pelle. Non le interessa la performance, vuole qualcosa di autentico, di vero. Solo in questo caso accetta di fare il film, il resto non conta».

Cosa deve esprimere un personaggio per appassionarla?
«L'amore, la maternità, la generosità, i sentimenti... Si identifica nel gesto di donare il suo cuore».

Che ricordi ha dell'Oscar vinto per «La ciociara»?
«Il passato è molto importante per lei e l'Oscar è stato essenziale per la sua carriera perché l'ha consacrata, ma non definisce la sua vita. Mia madre si concentra molto sul presente. E sul futuro».

Che cosa mette al primo posto nella vita?
«La famiglia, ovviamente, noi figli, i nipoti. Svegliarsi la mattina con la voglia di fare, guardando avanti e sempre con un progetto in testa».

Ora ha molti progetti?
«Dopo il successo di La vita davanti a sé ancora di più. Ci sono tanti giovani e talentuosi registi che vorrebbero lavorare con lei, sta valutando attentamente le proposte. Soprattutto in questa fase della carriera non può permettersi di decidere con leggerezza. Ogni film ha il suo peso, deve pensarci bene».

Lavorerete ancora insieme?
«Abbiamo un progetto comune, certo, è tutta una questione di timing, di far combaciare i tempi».

È vero che lei seppe solo dalla radio dell'Oscar alla carriera vinto da Sophia nel 1991?
«Proprio così. Ero in camera mia, all'università, ascoltavo un po' di musica e ho sentito la notizia. L'ho chiamata subito, non voleva dirlo finché non fosse stato ufficiale, per scaramanzia, casomai avessero cambiato idea. Ecco, questa è l'umiltà di mia madre».

Come si convive con un mito?
«È bello vedere l'amore che il pubblico ha per lei, la stima, l'ammirazione. Nei suoi confronti c'è una profonda tenerezza, un enorme rispetto, perché non ha mai tradito il suo modo di essere, e la gente lo sa. Questa cosa è bellissima, mi riempie di orgoglio».

E quanto conta il suo straordinario percorso professionale?
«Il fatto incredibile è che, artisticamente, mia madre è cresciuta con il pubblico. L'attrice de L'oro di Napoli è molto diversa da quella di La vita davanti a sé e non parlo del tempo che passa. Lei è totalmente cambiata nella profondità del suo mestiere. Non ha mai smesso di crescere e ha mantenuto il profilo della studentessa, non le è mai piaciuto salire in cattedra. È sempre in ascolto, pronta a imparare dagli altri».

La capacità di ascolto è il segreto della sua sensibilità di interprete?
«L'aiuta moltissimo a immedesimarsi totalmente nei ruoli, certo. L'immedesimazione è anche una forma di grande coraggio. Tante volte ci si nasconde dietro la propria immagine. A mia madre viene automatico il contrario, è una dote genetica».

A Napoli nel 2014 avete girato «La voce umana», che ricordi ne ha?
«Beh, non dimenticherò mai una scena a via Solitaria, vicino a piazza del Plebiscito. C'erano almeno settecento persone a guardarci, io ero preoccupato per la resa dell'audio, vedevo l'emozione della gente. Quando mia madre è arrivata sul set è calato un silenzio totale. Abbiamo fatto la scena, ho dato lo stop e lì è scattato un furore di applausi. Dentro quegli applausi c'era tutto: ammirazione, stima, rispetto e anche la grande sensibilità dei napoletani, che sanno come trasmettere l'amore che provano per lei».

A cosa sta lavorando ora?
«Ho in piedi due o tre progetti che dovrebbero andare in porto in autunno. Siamo a buon punto, ma non ne parlo ancora. Per scaramanzia».

Tra sale e piattaforme, come sarà il futuro del cinema dopo due anni di blocco forzato?
«Non c'è dubbio che per le sale il Covid sia stato un dramma, ma in America il box office sta risalendo con forza, spero che accada presto anche in Italia. La qualità c'è, ci sono i registi, gli attori, le storie. Ora il pubblico deve solo ritrovare le abitudini sociali che aveva perso».

Quale film di Sophia Loren preferisce?
«Una giornata particolare di Ettore Scola. Un film perfetto. È stato una svolta nel modo di recitare di mia madre. De Sica le diceva sempre di puntare sullo sguardo più che sulle espressioni del volto: in Una giornata particolare lei ha portato questo talento ai massimi livelli, grazie anche all'enorme intelligenza di Mastroianni al suo fianco e alla regia impeccabile di Scola. Ripeto, un film perfetto in ogni dettaglio».

Il cinema italiano degli anni d'oro era grande anche per la qualità delle sceneggiature.


«Gli sceneggiatori bravi ci sono ancora e, purtroppo, la cronaca sta offrendo loro una grande quantità di spunti, proprio come accadde agli scrittori del dopoguerra. Sono sicuro che i cineasti sapranno elaborare nel modo più giusto i tempi drammatici che viviamo. Il dovere dell'artista è dare una prospettiva ai fatti, per capirli meglio e per evitare che si compiano gli stessi errori. Io sono ottimista, credo nell'essere umano, perché so che non c'è alternativa alla fiducia. Per l'umanità non esiste un piano B».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino