Una banda musicale, due cantanti lirici, un gruppo di quattro strumentisti. E lui, il cantante trash per antonomasia, Tony Tammaro. Dalle piazze e dai matrimoni fino al palco del Diana per...
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Tammaro, come ha costruito questo spettacolo?
«Di solito, armato della sola chitarra, mi esibisco magari in occasione di feste patronali. Show essenziali, quasi minimalisti nei quali cerco di far divertire tutti, anche i bersagli della mia satira. Ma questa è una piccola rivoluzione, salgo sul palco con una band, una sezione di fiati, dei cantanti lirici per uno spettacolo antologico in cui i miei successi avranno un sapore diverso: “Patrizia”, “Il parco dell’amore”, “Il rock dei tamarri”, fino a “Fornacella”, contenuta in “Tokyo, Londra, Scalea”. E ovviamente “Super Santos”, brano che sul web è ad oltre 4 milioni di visualizzazioni, quasi un’ode al mitico pallone, “uno squarcio d’arancione in mezzo al blu”, che talvolta veniva impietosamente bucato da condomini cattivelli».
Uno show vero e proprio?
«Con tanto di videowall dove saranno proiettate immagini a corredo dei brani e che abbiamo girato a bella posta per questo spettacolo. “In Casa Cascella”, ad esempio, si vedrà un idraulico all’opera, e così via. Ma prometto varie sorprese e una ve la svelo: la banda di fiati entrerà in sala tra il pubblico intonando un mio vecchio successo, come le street band americane. E ci sarà anche la mia prima esibizione come cantante lirico accanto al soprano Annalisa D’Agosto e il baritono Enrico Siniscalchi per intonare “’A birr”, dedicato a chi sta tutto il giorno sul divano con una birra tra le mani giustificandosi con il fatto che non c’è lavoro».
I suoi bozzetti spesso sono tragicomici.
«Le storie e i personaggi sono i ritratti della società, c’è cinismo, piccoli drammi personali travestiti da canzoncine comiche come “’O trerrote”, il blues del povero venditore di cocomeri putelano, costretto a svegliarsi tutti i giorni alle 4 del mattino, che buca la ruota e viene derubato del carico. Si ride ma con amarezza. E ci saranno anche piccole storie personali proprio in apertura».
Che cosa racconterà?
«Della genesi di Tony Tammaro. Perché tutto è nato da mio padre Egisto Sarnelli, cui io contestavo affettuosamente le scelte di canzoni troppo tradizionali. Cominciai a scrivere per lui e venne fuori “Patrizia”. Lui disse: “Ma che roba è”? Io risposi un po’ offeso: “Allora me la canto io”. Ma lui mi obbligò a cambiare il nome: “Come Sarnelli non canti”. Da lì la scelta del nome e tutto ciò che poi è scaturito. Poi racconto cose comiche, come quando mi chiamò Gigi D’Alessio per invitarmi al suo spettacolo dal vivo in piazza del Plebiscito dove poi cantai “Non chiamarmi Annarella”, una parodia che a lui piaceva molto. Al telefono disse “So’ Gigino”. E siccome al tempo il nostro salumiere si chiamava Gigino, io risposi, “graziè Gigì, non ci serve niente”». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino