Toscanini, il 20 aprile 1921 l’apoteosi al San Carlo

Toscanini, il 20 aprile 1921 l’apoteosi al San Carlo
Duecentotrentasette giorni in tournée, con 125 concerti in 68 città di due continenti, per un totale di 24.000 chilometri percorsi. Una cosa del genere, oggi,...

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Duecentotrentasette giorni in tournée, con 125 concerti in 68 città di due continenti, per un totale di 24.000 chilometri percorsi. Una cosa del genere, oggi, sarebbe inconcepibile per qualsiasi ensemble e direttore, ma il carisma di Arturo Toscanini, un secolo fa, trasformò l'azzardo in impresa vera e vincente, inaugurando la storia dell'orchestra della Scala.


Tra le molte località toccate dal giro compare anche Napoli, per due volte. È dalla nostra città, infatti, che direttore e musicisti partono per l'America, a bordo del transatlantico President Wilson, il 30 novembre del 1920, alle 6 del mattino, con 12 ore di ritardo sulla tabella prevista. Lo spostamento d'orario consente a Toscanini di esibirsi al Politeama Giacosa (oggi, Politeama e basta), la sera prima. Concerto trionfale, con spettatori assiepati in ogni angolo. Al direttore vengono donati - come riferisce Riccardo Forster, poeta di area dannunziana e critico teatrale de «Il Mattino» - un disegno di Vincenzo Gemito (quale «auspicio e ricordo tutelare per il viaggio trionfale») e «un'artistica bacchetta direttoriale con cesellatura in oro» da parte dell'associazione Alessandro Scarlatti. Cinque mesi e 59 concerti dopo, Toscanini tornerà a Napoli, dando avvio, dopo la lunga parentesi americana, alla terza e ultima parte della sua tournée stakanovista. Dirige al San Carlo (dove ha debuttato nel 1909) il 20 e 21 aprile del 1921: cento anni fa, appunto.


Su questo viaggio musicale infinito ed eroico fa luce il giornalista e studioso toscaniniano Mauro Balestrazzi in un libro recente intitolato La tournée del secolo, edito da Libreria Musicale Italiana, e lo fa con dovizia di particolari e toni coinvolgenti. Cosa spinge Toscanini a mettere su un tour de force tanto ardito? La volontà di imporre all'attenzione internazionale la nascitura orchestra stabile della Scala e, con ciò, di sancire la costituzione del teatro milanese quale ente autonomo, liberandolo dalla tirannia dei «palchettisti» privati, dalle logiche politiche (un solo anno di ritardo, forse, sarebbe stato fatale) e imponendo un nuovo modello di imprenditoria culturale destinato ad affermarsi come necessario. Il processo di affrancamento e crescita del teatro troverà compimento il 26 dicembre 1921, quando la Scala, conclusi gli ingenti lavori di ammodernamento, riaprirà al pubblico con «Falstaff». L'orchestra, fino a quel momento denominata «Toscanini» nel segno del suo mentore, diventerà ufficialmente «della Scala», assumendo in organico gli instancabili eroi di una tournée rivelatasi decisiva per la credibilità del progetto.


Il bel libro di Balestrazzi abbonda di osservazioni storiche, aneddoti e di riscontri giornalistici dai quali deduciamo quanto assidua fosse, al tempo, l'attenzione dei media verso la musica. Forster, nella recensione del 21 aprile 1921 su «Il Mattino», annota: «Il maestro è stato accolto al San Carlo con frenetico delirante entusiasmo»; quindi indugia su una Settima di Beethoven, resa con «... così possente individualità» da non temere paragoni. Toscanini, chiosa il critico, «avrà avuto netta e calda la percezione e sensazione della musicalità di questa nostra Napoli, che non è artisticamente così atona e tarda come vuole una triste leggenda».


Se lo stile dei giornali italiani, nel riferire dei concerti, è solenne e ricercato, i molti ritagli tratti dai quotidiani americani e restituiti da Balestrazzi al lettore spesso risultano più diretti e musicalmente avveduti. Non è un caso che negli Stati Uniti il panorama delle orchestre stabili fosse, all'epoca, assai rigoglioso e maggiore, di conseguenza, la confidenza del pubblico con la materia trattata. Gli americani impazziscono per Toscanini e lui, considerato a lungo un direttore d'opera, compone per otto mesi programmi sinfonici articolati, moderni e molto corposi per gli standard di oggi. Ventisei gli autori eseguiti nel corso della tournée: in ordine alfabetico, si va da Domenico Alaleona (che a Toscanini dedica «Mirra») a Richard Wagner, il più gettonato. Accanto alla Settima beethoveniana, lodata da Forster, Toscanini al San Carlo rilegge Strauss, Martucci, Brahms, Respighi, Elgar e conclude con l'amatissima ouverture del «Tannhauser», esibendo un campionario di virtuosismi sinfonici. Trova spazio infine per un lavoro di Victor de Sabata, illustre collega e «rivale», denotando curiosità e intelligenza diplomatica. Peccato che il brano si intitoli «Juventus»: se la cavò, Toscanini, solo perché nel 1921 la gloriosa Ssc Napoli non era ancora nata. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino