Se ci fosse un premio per l'operazione antologica più kolossal in Italia quest'anno andrebbe probabilmente a «Wanted», imponente opera che vuole offrire...
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Nel cofanetto si risale ad alcune delle sue più prestigiose collaborazioni, con Clapton, Knopfler, i Queen, Sinead O'Connor, Sting, Jeff Beck, John Lee Hooker, Tom Jones, Bocelli, B. B. King... Nei suoi archivi ci sono altri inediti e rarità?
«Ogni tanto rovistando tra i ricordi e i materiali accumulati in tanti anni spuntano dei veri gioiellini che mi aiutano in un tuffo nella memoria. Dovrei verificare la qualità di quelle registrazioni, ma ci sono cose che non ho mai pubblicato, a cui sono molto legato: penso agli incontri e session con Miles Davis, B.B. King, Joe Cocker, Solomon Burke, Al Di Meola, i Blues Brothers che prima o poi potrebbero tornare buoni».
In scaletta, tra gli inediti, anche una bella rilettura di «Long as I can see the light» dei Creedence Clearwater Revival: cos'altro potrebbe reinterpretare in seguito, pescando nel gusto del suo personale juke-box?
«In effetti ci sono molte canzoni che vorrei aver scritto e John Fogerty dei Creedence, ne ha firmate diverse, da Have you ever seen the rain? a Who'll stop the rain, ma la lista sarebbe lunghissima in epoche diverse. Mi piacerebbe fare un disco collegandole tra loro, prima di chiudere la mia storia professionale con quello che dovrà essere il mio album capolavoro. Poi potrei dedicarmi solo ai concerti, ma è ancora presto per questi pensieri».
Reduce da un tour di un anno, in cui ha trionfalmente toccato i cinque continenti, sull'onda dell'album «Black cat», lei annuncia una serie di dieci concerti italiani in primavera, a quasi cinque anni dagli appuntamenti precedenti (in mezzo solo le ventidue tappe all'Arena di Verona): tra queste date da segnalare l'8 marzo al PalaSele di Eboli. Che novità ci saranno?
«Sui brani avrò solo l'imbarazzo della scelta, per cantare questi trent'anni: di buono c'è che con la band, tutta confermata, a partire da Brian Auger, un gigante, abbiamo sempre molte alternative: un centinaio di titoli a disposizione, che possiamo cambiare ogni sera. La garanzia sono proprio i musicisti, che oltre a rappresentare la migliore band possibile in circolazione in Europa, è fatta di belle persone, con cui mi piace condividere i viaggi, le giornate, gli alberghi e i momenti della tournée, anche fuori dal palco. Non mi immagino, né sopporterei l'idea, come per alcuni colleghi, di muovermi con l'aereo privato e vedere il gruppo appena prima di cominciare lo spettacolo».
E il futuro?
«Sono tornato sempre più indietro verso le radici: prima consumavo molto soul e rhythm and blues, ma adesso più di Marvin Gaye, Otis Redding, Aretha Franklin o Sam & Dave, preferisco andare ai grandi padri, muovermi e approfondire tra Robert Johnson, Elmore James o i pionieri del Delta del Mississippi. Quel suono crudo, rudimentale, essenziale mi affascina e mi insegna molto di più di un disco ben prodotto di oggi, che tutto sommato posso facilmente prevedere. Navigherò da quelle parti, come nel gospel, da cui ultimamente ho attinto moltissimo. Questa è la mia attitudine, la mia vocazione. Per accaparrarmi il pubblico più giovane dovrei mettermi a fare l'asino? Saranno i padri a proporre loro la mia musica e magari tra qualche anno gli piacerà, come è successo a mio figlio Blue».
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Il Mattino