Trettré, gli 80 anni di Edoardo Romano: «Cabaret con Vessicchio e scarrafoni per Pino Daniele»

Trettré, gli 80 anni di Edoardo Romano: «Cabaret con Vessicchio e scarrafoni per Pino Daniele»
«Sto nu poco acciaccatiello ma bene, in complesso». Nonostante 35 anni in Brianza, Edoardo Romano non dimentica le origini. I napoletani non lo fanno quasi mai....

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«Sto nu poco acciaccatiello ma bene, in complesso». Nonostante 35 anni in Brianza, Edoardo Romano non dimentica le origini. I napoletani non lo fanno quasi mai. Domenica scorsa ha compiuto 80 anni, ma porta ancora in giro per l'Italia il suo spettacolo «Permettete che vi racconti»; è autore di format e testi per cinema, teatro e tv; insegna; e ad aprile tornerà su Canale 21 con la seconda edizione di «Cara Napoli, ti scrivo», non più con Antonio Lubrano, ma con l'amico Gino Cogliandro, compagno d'arte, assieme a Mirko Setaro, in uno spumeggiante e popolarissimo trio degli anni Ottanta, i Trettré. «Con noi sarà anche Emanuela, la figlia di Claudio Villa. Il programma è frutto della passione per la canzone classica napoletana, che associo al racconto del mio percorso di vita. Sono un emigrante e scrivo alla mia città, raccontandone le bellezze attraverso le sue melodie. A marzo registreremo 10 puntate, che avranno una ventina di repliche».

Romano, volgendosi indietro che cosa vede?
«Sono un uomo soddisfatto. Se dovessi rinascere, non cambierei sentiero. Ho un bel passato e vedo un bel futuro. Con l'esperienza accumulata tutto diventa più facile. Per giunta, oggi posso permettermi di scegliere chi, che cosa, come e quando. Ad aprile, per esempio, sarò protagonista di un film drammatico, su cui posso anticipare soltanto che avrò il ruolo di un violinista. Gireremo a Domodossola».

Drammatico?
«Ogni comico ha dentro in sé il pianto. Pensi a Totò, a Eduardo De Filippo. E, poi, io non sono un cabarettista, ma un attore».

Torniamo alle origini...
«Ovvero quando i Trettré si chiamavano i Rottambuli. Eravamo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Con me e Mirko c'era Peppe Vessicchio, sì il maestro Vessicchio, pacione e sornione già allora, che non recitava quasi mai; componeva e suonava. Dopo nove anni di locali, teatri e teatrini, però, decise di seguire la vocazione del musicista. Non mi persi d'animo. Coinvolsi Gino e con lui formammo un gruppo consapevole di fare non cabaret, ma teatro comico».

La svolta?
«Sa a chi dobbiamo il successo? A Berlusconi. Conobbi Giancarlo Nicotra, il regista di Drive in. Non ci dette speranze. Il cast era completo; ma gli strappai un'audizione per il numero zero. Registrammo e Berlusconi ci notò: Simpatici quei napoletani. Fategli fare qualche puntata. Ma il cast è già chiuso, gli risposero. E lui: Sì, ma fategli fare qualche puntata. E divenne nostro fan. A Drive in portammo il teatro fatto con i tempi della televisione. La nostra comicità era d'effetto perché si ispirava al quotidiano e non giocava con la volgarità. Il pubblico si riconosceva».

A «Raimondo e le altre», nel 91, chiamaste Pino Daniele.
«Già lo conoscevamo. Gli chiedemmo di scrivere la sigla. Spiegandogli lo show, gli raccontammo che nello studio si aggirava una sorta di scarafaggio telecomandato. E lui: O scarrafone!. Il brano nacque così».

Com'era Pino?
«Si sa, aveva un carattere spinoso, ostico, che gli si perdonava grazie al suo genio. Andava d'accordo soltanto con le persone a lui gradite artisticamente. Noi gli piacevamo, diceva che avevamo una comicità... giusta».

La sua seconda vita, quando cominciò?
«Non ci siamo mai sciolti ufficialmente, ma a un certo punto ciascuno ha preso la propria strada. E io ho ricominciato dal 33,33% dei Trettré per conquistare il mio 100%. Decidemmo di smettere, perché la tv era cambiata e non ci apparteneva più. La comicità usa e getta, questi nuovi comici che devono far ridere in tre minuti, nascono e muoiono come meteore, non m'interessano».

Tra l'altro, lei ha fatto parte del cast di «Francesca e Nunziata» di Lina Wertmuller, con Sophia Loren, e ha girato quattro film con Pupi Avati.
«E ne vado fiero. Grazie a Il cuore altrove e a Il papà di Giovanna ho calpestato le passerelle di Cannes e Venezia. Poi, ho vinto quattro Telegatti e ho la medaglia alla carriera della presidenza del Consiglio. Giro con lo show in cui condivido la mia carriera al ritmo della melodia di Napoli, assieme ad amici e compagni d'arte che stimo come il regista Gigio Giuffrida e il musicista Pasquale Sessa... Gliel'ho detto, sono un uomo fortunato».

Sogni?
«Li ho già realizzati».

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Il Mattino