Vecchioni: «Un'altra canzone è possibile anche al tempo dei trapper»

Vecchioni: «Un'altra canzone è possibile anche al tempo dei trapper»
Era il 1976 quando Roberto Vecchioni in «Canzone per Francesco» (era in «Elisir», una delle sue opere migliori) rivolgendosi al maestrone Guccini metteva...

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Era il 1976 quando Roberto Vecchioni in «Canzone per Francesco» (era in «Elisir», una delle sue opere migliori) rivolgendosi al maestrone Guccini metteva in musica la crisi della canzone d'autore italiana. Quarantadue anni dopo è toccato al cantautore-professore riportare in sala di registrazione l'antico amico allontanandolo dal suo buen retiro, per «Ti insegnerò a volare», picco emotivo di «L'infinito», «album di resistenza umana, culturale, politica, cantautorale» che l'uomo di «Luci a San Siro» sta portando in tour: mercoledì 17, al Palapartenope, l'approdo napoletano.


Allora, Roberto, forse nel 1976 era presto per cantare quel de profundis: «La rabbia un tempo la scandiva/ soltanto la locomotiva/ tra i fiori rossi sulla strada:/ e contro il niente adesso parte/ ogni mezz'ora un volo charter / itinerario di gran moda». Ma oggi...
«C'è nell'aria qualcosa di antico, anzi di nuovo. Per questo Francesco si è gettato, nonostante la sua voglia di starne lontano, in un'operazione come la mia che sapeva davvero di canzone d'autore anni Settanta. In un disco analogico, solo fisico, che ha sfidato la rete, che ha fatto a meno della rete. Saremo gente d'altri tempi, ma abbiamo creduto in una canzone che non fosse solo divertimento e intrattenimento, che volesse dire cose, che sapesse come dirle, senza mai pensare di farsi manifesto politico o slogan».

E oggi, invece?
«Oggi si rappa e si trappa, si usa una comunicazione rapida, si manda un messaggio per volta. Un po' mi infastidisce questa comunicazione che riesce a tirar fuori solo rabbia e incazzatura. Noi abbiamo urlato contro il cielo, ma sognando la vita, l'avventura, la bellezza, la poesia».

Noi?
«Noi eravamo un mucchio selvaggio, non così piccolo. Ma in primis c'erano gli extraterrestri: De André, Guccini, Dalla, dietro tutti gli altri».

E Vasco?
«Un grande, ma più da rocker che da cantautore».

Dicevi dei maestri, dei fuoriclasse. E gli allievi?
«Negli anni Ottanta si ruppe qualcosa, si disse che non bastavano parole, impegno e una chitarra per fare buone canzoni, ma una mutazione pericolosa avvelenò un terreno che era stata ben arato, dissodato, annaffiato, seminato».

I cantautori da maître à penser finirono progressivamente fuori moda.
«Già, non tutte le generazioni possono partorire un Lucio Dalla, ma sono arrivati artisti egregi, che però hanno faticato, penso a Gazzè, a Silvestri, a diversi altri. Non voglio però fare il nostalgico, non lo sono, mi sta bene la sfida del mio tempo».

Vecchioni è felice a 75 anni?
«Felice è una parola grossa, direi che sono contento della mia vecchiaia, che sto imparando a vivere, a distinguere le piccole rogne quotidiane dai grandi problemi che toccano inevitabilmente a tutti. Ho tolto la prostata, avevo un brutto tumore, ho capito che ogni giorno che arriva è un regalo, lo accolgo come una benedizione, con una benedizione. A 20 anni portavo sulle spalle i dolori di tutti i giovani Werther del mondo, oggi li vedo quei problemi, quei drammi, come potrei non vederli, ma capisco che non posso mettermeli tutti addosso, non servirebbe a nessuno, tanto meno a me».

Forse la tua felicità sta nei tanto amati classici.
«Sì, sta in Leopardi che canto come il giovane favoloso di Martone, il poeta che a Napoli fu folgorato dalla vita, trovò tregua al suo dolore. Sta in Catullo, sta in Saffo».

A proposito: saranno pure successi di nicchia, ma i libri sulla cultura greca e latina vanno benone.
«È vero: vendono i lavori di Eva Cantarella, di Luciano Canfora, di Giulio Guidorizzi, di Maurizio Bettini».

Perché?
«Perché la cultura di ieri è viva in quella di oggi, perché per avere un futuro devi conoscere il tuo passato, perché non si possono mettere le ali senza avere radici».

Ma le radici ti tengono fermo a terra.
«Quando spalanchi le ali voli. Ma, poi, devi avere un posto dove atterrare, prima o poi».

E quel posto è il passato?
«No, il futuro. Non è l'erudizione che conta, ma la curiosità per la vita che certe letture, certa arte, certa grande bellezza instilla. Tornando alla canzone: abbiamo sempre cantato tutti le stesse cose, la libertà, l'amore, l'altruismo, il sesso, la lotta, la mamma... Tutti: da Euripide e Sofocle ai trapper. Che sanno che cosa dire, come dirlo a tempo, come usare il web per far arrivare veloce il messaggio. Hanno persino i contenuti, anche se a volte li nascondono, li riducono a slogan. Perché il problema è la versificazione, lo stile, l'eleganza».

Manca poesia?
«Sì, ma quella resta appannaggio dei giganti: Fabrizio, Lucio, Francesco. Dylan, Cohen, Neil Young, quelli che ci hanno insegnato a confessare in canzone di aver vissuto».

E il Vecchioni uomo di sinistra come sta?

«Come tutti gli uomini di sinistra: cornuto e mazziato, ma pronto a rialzarsi e dirsi: Provaci ancora, Roberto. Con tanti colleghi ho appena firmato il manifesto È stato il vento, per sostenere Mimmo Lucano e il modello di integrazione di Riace». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino