Zucchero all'Arena di Verona: «Il mio blues diventa preghiera per la pace»

Zucchero all'Arena di Verona: «Il mio blues diventa preghiera per la pace»
«Che la musica scateni. Una scintilla e arcobaleni. Rasserenino il mondo», dice un verso rilanciato dai maxischermi dello spettacolo con cui Zucchero ha varato...

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«Che la musica scateni. Una scintilla e arcobaleni. Rasserenino il mondo», dice un verso rilanciato dai maxischermi dello spettacolo con cui Zucchero ha varato l'altra sera all'Arena di Verona il cammino che lo porterà per un anno e mezzo ai quattro angoli del pianeta. L'ottimismo di quella citazione da «Jimmy Jimmy» (pezzo dell'85 con testo di Mogol) sfida il cortocircuito emotivo dei tempi, a cui il «funky gallo» fa esplicito riferimento poi nel bis, mostrando sul grande schermo circolare a forma di sole che domina la scena i palazzi straziati dalle bombe in Ucraina mentre fluiscono le note di una «Madre dolcissima» introdotta, come nel '90, dalle drammatiche notizie del tg per ricordare che il tempo passa, i conflitti cambiano nome, ma l'odio dell'uomo rimane sempre lo stesso.

Sono 145.000 gli spettatori che il soulman di Roncocesi riunirà fino all'11 maggio sotto la luna di Aida e Radames con 14 concerti (se non è record poco ci manca) che seguono di alcuni giorni i quattro nel Regno Unito (due alla Royal Albert Hall) sfruttati come prologo di questo nuovo tour de force. «Cerco di rendere il concerto più leggero possibile, anche se 6-7 brani li ho scelti puntando l'occhio su quel che sta accadendo, tra cui cose come Sarebbe questo il mondo che sognavo da bambino e Ci si arrende, come una specie di preghiera per la pace», racconta: «Avrei potuto cantare Putin che ca**o fai, ma come fai a riderci sopra. Avevo tappe a Kiev, ad Odessa, a Chisinau, a Mosca, a San Pietroburgo, in Bielorussia, le ho rimandate tutte. Ad Est mi sono sempre trovato bene perché russi e ucraini sono popoli che, quando ti scelgono, rimangono poi molto fedeli».

La band di nove elementi di questo «World wild tour» poggia ancora una volta sul basso di Polo Jones e sul sax di James Thompson, ma anche sulle chitarre di Mario Schilirò, Kat Dayson (Prince).
«La felicità è suonare con questa band. Rispetto al tour precedente al posto di Brian Auger, che dopo la perdita della moglie non se l'è sentita d'imbarcarsi in un tour mondiale lungo come il mio, c'è lo scozzese Peter Vettese già al mio fianco in Miserere e per vent'anni colonna dei Jethro Tull oltre che dei dischi di Annie Lennox. La corista di origini camerunensi Oma Jali l'ho scoperta, invece, su YouTube, dove l'ho vista cantare Think di Aretha Franklin davanti alle telecamere di The voice France. E su YouTube ho incrociato pure la batterista americana Monica Mz Carter, ragazza di Atlanta».

In scaletta c'è anche «Pene», mai fatta dal vivo, o «Senza rimorso», che mancava da vent'anni.
«Le ho scritte in un momento non buono della mia vita, quello di Miserere. Le volevo rivivere perché, anche se mi piace godere, in fondo in fondo sono uno che soffre. Se no, non avrei fatto blues».

«L'urlo» arriva ancora in versione «purgata» rispetto all'originale del 92.
«Ho tolto quel bu*o del *** rendendomi conto che se De André, dall'alto della sua statura intellettuale e poetica poteva permettersi di usarla in Un giudice, in bocca a me finisce per essere un po' forte. Pesco molto dal blues e in quel genere i riferimenti al sesso, le espressioni colorite, i doppi sensi, sono molto diffusi, ma in un paese perbenista come l'Italia quel tipo di linguaggio scade facilmente nelle volgarità da bettola».

Il 29 maggio suona con Eric Clapton a Berlino.
«Con lui ci conosciamo dall'89, quando venne a vedermi allo stadio di Agrigento trascinato da Lory Del Santo. A fine concerto me lo ritrovai in camerino, pensavo ad uno scherzo e invece. Si limito a tre commenti: fantastic concert, fantastic band, il mondo dovrebbe vedere questo show. E mi propose di aprire i concerti del suo tour europeo. La notte dei duetti di Zucchero & Co. alla Royal Albert Hall aveva la febbre e mi avvertì che non sarebbe venuto, poi, dopo due ore, richiamò dicendo: Ho capito che non posso lasciarti solo, arrivo. Gesti così non si dimenticano. Stavolta vorrei interpretare una sua canzone che mi strappa il cuore come River of tears e sentirlo cantare le mie Hey man e Wonderful world. E magari Motherless child».

E le posizioni no vax di Slowhand?
«Credo che le tante esperienze affrontate nella vita l'abbiano reso una persona ipersensibile. E fragile. A me non ha provocato reazioni, ma, a sentire lui, la dose gli avrebbe creato dei problemi ai nervi delle mani e la contrarietà all'obbligo vaccinale sarebbe legata a questo. Ognuno reagisce come sente. Non lo biasimo. Probabilmente ha avuto paura».

La crisi del disco pesa sui suoi conti?


«Non lavoro col computer di casa, ma con grande impegno economico, perché i musicisti bravi costano, gli studi buoni costano, gli ingegneri del suono bravi costano. Pure i produttori bravi costerebbero, ma per fortuna con Don Was c'è della fratellanza e il suo prezzo è quello giusto.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino