Coronavirus, ansia e depressione pericoli da quarantena per calciatori

Coronavirus, ansia e depressione pericoli da quarantena per calciatori
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«C'è un motivo caratteriale se si sceglie di praticare uno sport di squadra piuttosto che individuale. Chi è abituato a far parte di un gruppo in questo momento soffre più di altri atleti per la mancanza dei compagni, della relazione all'interno di una dimensione gruppale». Ansia e depressione si impennano tra i calciatori costretti in casa dal coronavirus, dice un sondaggio del sindacato mondiale Fifpro curato dal medico francese Vincent Gouttebarge: la prima è provata dal 47% degli intervistati, la seconda opprime il 15%, da forma moderata a grave. E Monica Vaillant - ex azzurra della pallanuoto, oggi psicologa - spiega così il crescente disagio: «Normalmente questi sportivi svolgono la preparazione tutti insieme. Ora avvertono la mancanza di obiettivi condivisi, che poi sono la benzina del loro allenamento».


L'ultimo decreto governativo ha privato i professionisti della possibilità di frequentare impianti, anche in solitudine. Ma per i calciatori l'ennesima restrizione sposta di poco il problema: «Il loro malessere deriva soprattutto dalla privazione del lavoro di gruppo, da quello muscolare alla preparazione delle tattiche, abituati come sono a rimanere sempre concentrati sull'allenamento, focalizzati sulla prestazione fisica». Ma anche un ritorno all'attività troppo repentino potrebbe causare ulteriore stress. «Esporsi di nuovo al giudizio del campo, e dei tifosi, specie ai massimi livelli, non è come girare un interruttore - sottolinea Vaillant - Dopo settimane di attività sentita come non adeguata può subentrare il timore di scoprirsi improvvisamente impreparati al proprio ruolo, non solo sportivo, ma anche di personaggio pubblico, conosciuto, che ha un nome. L'importanza della performance è evidente e ci vuole grandissima capacità di concentrazione per tornare sotto i riflettori».


Specie se, intanto, nel paese «si dovesse continuare a sentire parlare di centinaia di decessi, di 'guerrà. I giocatori si ritroverebbero a vivere in una sorta di realtà parallela. Una situazione schizofrenica, che certo non sarebbe d'aiuto alla loro concentrazione. I tempi della ripartenza andranno studiati con grande attenzione». Anche perché «la programmazione è molto importante nella vita di un atleta. In gruppo o da solo, lavora per tappe - conclude Vaillant - in modo da raggiungere il massimo della forma in prossimità dell'evento agonistico. Ma in questo momento la fine dell'emergenza non si vede. È difficile porsi degli obiettivi finché l'orizzonte resta così incerto. Servono passione e forza di volontà»
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Il Mattino