Tra i ragazzi della curva B qualcosa si è spento: «Un ragazzo che lotta per la vita in ospedale non ha nulla a che vedere con il tifo, non si può morire per una partita di...
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L'ex ragazzo con il caschetto di «Napoli, Napoli, Napoli» non vuole parlare di sport: «Perché, è sport questo? È sport una partita tra Napoli e Fiorentina che finisce, anzi inizia, con un tifoso azzuro preso a colpi di pistola da un romanista, estremista di destra, ben noto alle cronache? Non è sport, è violenza, la violenza non c'entra nulla con lo sport, una cosa è lo sfottò tra simpatizzanti di squadre diverse, quello mi diverte, ma nemmeno uno schiaffo può essere concesso, nemmeno un pacchero. Non è sport, mi fa schifo, affievolisce la mia passione, questo non c'entra niente con i ragazzi della curva B, di qualsiasi curva».
Che cosa dire a loro? La famiglia Esposito lancia appelli per scongiurare vendette e nuove violenze.
«Ma i ragazzi della curva B, quelli di cui cantavo io, quelli che ho raccontato io, alla violenza nemmeno ci pensavano. E non ci pensano nemmeno adesso. Ora, come me, saranno tutti a pensare alla mamma di Ciro: si può perdere un figlio perché è andato ad applaudire la squadra del cuore? Come glielo spieghi a quella donna quello che è successo, come dici a un padre che i suoi ragazzi vogliono andare allo stadio: che gli dici, di nascondere la sua paura o di contagiarli con essa?»
Già, che fare?
«Non lo so, ma non possiamo chiuderci in casa, dobbiamo sperare che Ciro possa avere almeno giustizia. Lui è la vittima, dell'uomo che ha sparato su di lui non si parla più, distratti anche dal soprannome di un tifoso noto come Jenny 'a Carogna: in troppi hanno puntato l'attenzione sull'episodio che lo ha coinvolto, riscrivendo una storia che invece è netta e chiara».
Polemico, D'Angelo?
«Sì, con tutti quelli che raccontano questo film a protagonisti invertiti. Qualsiasi cosa abbia detto Jenny 'a Carogna, e dobbiamo ancora saperlo, non aveva una pistola in mano. A sparare su Ciro è stata una pistola, quella di Daniele De Santis, detto ”Gastone”, dice la polizia: oggi lo stato ha il dovere, di fronte alla mamma di Ciro, di fronte a tutte le mamme d'Italia, di fronte a tutti noi, di essere giusto, di applicare le leggi, e poi di evitare che si possa ripetere un episodio precedente. Chiunque vada allo stadio, addirittura fuori dallo stadio, nel nome dell'odio non merita di appartenere al consesso umano, non si può essere comprensivi in casi simili».
A Scampia hanno spento il maxischermo che doveva trasmettere Italia-Uruguay, il quartiere simbolo della malapianta criminale ha atteso in silenzio le estreme notizie dal Gemelli di Roma.
«Quanta ”Brava gente” c'è a Scampia: ho scritto una canzone in difesa di quei ragazzi e di quelle ragazze, di quegli uomini e quelle donne, a cui non basta la condanna di essere nati nel posto sbagliato, per cui si aggiunge la condanna di essere confusi con i loro carnefici. Il problema non è ammettere l'esistenza del cancro Gomorra, ma sapere che c'è molto altro, c'è tanta... ”Brava gente”. Quel maxischermo spento nei luoghi di Ciro è l'ennesimo simbolo della sconfitta dello stato, sarà un caso, ma Esposito, anche il cognome è un simbolo, veniva da quelle ”terrenere”, il destino ha aggiunto alle sue condanne la più improbabile, la più imprevedibile».
E ora?
«E ora non ci sono parole ma un'attesa straziante, un dolore scandito da bollettini medici sempre più pessimistici. Ora c'è il silenzio, la preghiera per chi crede, la consapevolezza che questa ferita non sarà sanata facilmente, che il calcio deve essere gioco, sport, non guerra per bande, che non si va a vedere chi tira calci ad un pallone con mazze, pistole... A un ragazzo di 57 anni come me la curva B rimane nel cuore, ma nessuna curva, nessuna partita, nessun risultato vale il sorriso spento di Ciro Esposito, le lacrime di sua madre. I ragazzi della curva B oggi hanno perso molto, ma molto più che un incontro, uno scudetto, una coppa del mondo».
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Il Mattino