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Nella primavera dell’87, pazzo di gioia per il primo scudetto vinto nella storia del Napoli, Corrado Ferlaino contattò uno degli amici più cari nel mondo del calcio, Paolo Mantovani, il presidente della Sampdoria, e gli propose un affare. Poco tempo prima Mantovani era stato elegantemente respinto con un sorriso quando mise sul tavolo un assegno in bianco per il cartellino di Diego Armando Maradona e a lui l’ingegnere chiese Luca Vialli, che con Roberto Mancini componeva un formidabile tandem d’attacco nella squadra guidata da Vujadin Boskov: alla fine della stagione ‘86-‘87, a 22 anni, aveva segnato 16 reti con i blucerchiati.
Mantovani, nell’incontro su uno yacht al largo di Positano, fece capire a Ferlaino che si poteva trovare l’accordo. Ricorda l’ex presidente che vinse col Napoli due scudetti e la Coppa Uefa: «Mi spostai da Capri a bordo della mia barca quando seppi che Mantovani era arrivato in Costiera. Avevo ottimi rapporti con tutti i presidenti di serie A e in particolare con lui. Trascorremmo una vacanza di due giorni, parlando tanto di Vialli. Attaccante straordinario, segnava moltissimo e volevo portarlo al Napoli. Concordammo anche la cifra. Che adesso non ricordo... Ma lo dico sinceramente: per avere a Napoli un calciatore forte, in grado di far vincere la squadra, i soldi li avrei trovati sempre e comunque».
Mantovani era molto facoltoso ma non era un presidente–padrone: per lui la volontà dei calciatori - la Sampdoria era una vera famiglia, con Roby e Luca che avevano il ruolo di leader - contava e volle ascoltare Vialli. Che ringraziò, indirettamente, Ferlaino e il Napoli ma fu netto. «Io da Genova non mi muovo». E sarebbe stato coerente quando anche Silvio Berlusconi e il Milan bussarono alla porta della Samp. Vialli lasciò Genova nel 1992, un anno dopo lo storico scudetto e appena dopo la finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley contro il Barcellona per trasferirsi alla Juve, la sua terza e ultima squadra italiana, prima di volare a Londra, firmando per il Chelsea.
Perché Vialli disse no al Napoli e a Maradona, che era un suo grande estimatore? Secondo Ferlaino, vi fu lo zampino dell’amico del cuore di Luca, il Mancio. «Un’impressione, ci mancherebbe, però credo che Mancini avesse voce in capitolo nelle questioni di mercato.
Sempre nel 1987, 14 novembre, Vialli si presentò al San Paolo con la Nazionale guidata da Azeglio Vicini. Era uno dei pupilli del commissario tecnico che lo aveva lanciato nella Under 21. Partita a Fuorigrotta contro la Svezia, decisiva per la qualificazione agli Europei ‘88 dopo una serie di passi falsi. Luca segnò due spettacolari reti, festeggiando sotto la curva che impazzì di felicità. In quella Nazionale c’erano tanti napoletani, da Ciro Ferrara - poi compagno di Vialli nella Juventus campione d’Europa - ad Andrea Carnevale. Napoli era la casa del calcio, una piazza sempre carica di passione, e non a caso la Figc - anche su indicazione del consigliere federale napoletano Carlo de Gaudio, che diede sempre giusti consigli anche a Luca - veniva qui quando c’erano partite delicate, assolutamente da vincere. Vialli sarebbe tornato a Fuorigrotta il 3 luglio del ‘90, per la semifinale mondiale contro l’Argentina. Giocò 71’, sostituito da Serena quattro minuti dopo la rete del pareggio di Caniggia che portò la Seleccion ai supplementari e ai rigori, vinti da Maradona, che alla fine abbracciò consolandoli i suoi amici del Napoli e Vialli, il compagno mancato.
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