Higuain, la fuga alla Juve per stipendi da 32 milioni

Higuain, la fuga alla Juve per stipendi da 32 milioni
Riecco al San Paolo la barbetta più triste d’Argentina. Riecco Gonzalo Higuain. L’avvocato Carlo Correra, autore di uno splendido libro sul Napoli, «I...

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Riecco al San Paolo la barbetta più triste d’Argentina. Riecco Gonzalo Higuain. L’avvocato Carlo Correra, autore di uno splendido libro sul Napoli, «I globuli azzurri», suggerisce che la migliore accoglienza sarebbe un assordante silenzio, l’indifferenza totale del San Paolo. Il disamore completo perché amore non è mai stato. La noncuranza è come il vento che fa dimenticare chi non s’ama (un po’ Modugno).


Dalla città rapace che offre troppe distrazioni, come De Laurentiis definì Napoli sospettando notti di dolce vita tra gli azzurri, Gonzalo è scappato confinandosi nella piccola Torino dove non si muove foglia che la Juve non voglia e tutto è sotto controllo. La benemerita caserma bianconera. Là vogliono tutti soldatini, disse una volta Cassano ricordando di avere rifiutato tre volte la Juve, sede poco appropriata per uno «che esce dai binari» dicendo sinceramente di sé.

È un soldatino Gonzalo Higuain? I laboratori juventini ne controllano il girovita e, a Torino, non c’è nessun Parco Matarazzo come su in via Tasso, a Napoli, dove la vita è bella quand’è bella. Ligio e grigio Gonzalo alla Juve per vincere e per danaro (7,5 milioni netti all’anno). A trent’anni ha fatto la sua scelta non avendo mai vinto nulla e mai guadagnato tanto, pur pagato profumatamente a Napoli (5,5 milioni). Ma al core business non si comanda.

Torna al San Paolo per la prima volta. Per non mancare ha piantato anzitempo la nazionale argentina facendosi ammonire. Squalificato (era sotto diffida), è volato sul primo aereo per Torino. Un attaccamento commovente ai non colori bianconeri. Un soldatino inappuntabile.


Torna sul campo dei 36 gol quand’era spinto da un’intera squadra al suo servizio. Rilanciato da un paziente maestro di calcio. Ma aveva sempre un’aria estranea. Sbolognato dal Real Madrid, Gonzalo soffriva la sindrome di lesa maestà. Bella era Napoli, ma non vincente. Sbuffava e protestava, costretto a giocare in una squadra che non andava oltre il secondo posto. Meglio saltare sul carro dei vincitori, davanti a un fiume grigio e non più un mare azzurro. E atteso come il centravanti per vincere la Champions. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino