Essere tottiani vuol dire sentirsi partecipi di una categoria dello spirito. Lo è in generale anche l’essere romanisti, con quello che comporta predisporre il...
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Dà una suggestione identitaria che solo calciatori che andavano oltre, Rivera e Maradona sugli altri, sapevano infondere. La Roma è Totti, Totti è la Roma: l’equazione è ormai acclarata, dopo 25 anni di sublimi giocate (ma poche vittorie). Totti è il calcio, il calcio è Totti: anche qui siamo nel perimetro delle banalità, non è necessario possedere i geni giallorossi per ammetterlo. Se c’è Totti seduto in panchina l’Olimpico dorme, se Totti si alza per sgranchirsi le gambe lo stadio si accende come un bengala. Totti è anche qualcosa in più: è simpatico e ironico (ha firmato libri di barzellette), ama la famiglia e i bambini (ne ha tre), non dà adito a gossip, ha corteggiato la futura moglie con una maglia celebrativa nel derby - “6 unica” - che ha fatto sospirare le adoranti romaniste (e non); è testimonial dell’Unicef e fa beneficenza vera, non farlocca. Tutto è bene quel che finisce bene? No, magari. Per un dato crudo nella sua oggettività: l’età di Totti, che oggi di anni ne fa 40. E dunque siamo ai titoli di coda. Entusiasmanti, sorprendenti, naturalmente dolorosi, che nulla tolgono alla immensità dell’ultima bandiera in un calcio di ragionieri e procuratori, di traditori e pusillanimi.
Tutto sta, però, a capire quando è il momento di far calare il sipario. Senza immiserirlo, sporcarlo o svilirlo. Ci sta riuscendo Totti? Sul campo sì, divertendosi a sorprendere persino se stesso, con le giocate del genio bambino che dimorerà sempre dentro di lui; fuori, invece, qualche dubbio è lecito sollevarlo. L’improvvida intervista a Raisport del febbraio scorso che ha causato la prima, plateale rottura con Spalletti e le parole di Ilary alla Gazzetta di ieri, scagliate come pietre contro allenatore e presidente, sembrano più dichiarazioni di guerra che legittimo esercizio di quella leadership che a Totti è stata chiesta tra le sacre mura dello spogliatoio. E il rattoppo notturno del capitano sulla «sintonia totale» è una mano tesa che, però, realisticamente sanerà ben poco.
Cui prodest? Non a Totti, che rischia di offuscare sul traguardo la sua straordinaria carriera con veleni di cui la volubile Roma, già per sue colpe vittima di sbalzi umorali, farebbe volentieri a meno; non a Spalletti, crollato oltremodo nell’audience della vulcanica piazza (radiofonicamente esacerbata e talvolta brutale, come una famiglia infelice di Tolstoj) e non esente da responsabilità nella gestione complessiva della squadra; non alla società, metà americana e metà no, un minotauro che sembra guardare troppo lontano (al nuovo stadio) per rendersi conto di quanto le sta accadendo quotidianamente sotto gli occhi; infine non ai tifosi, spaccati e avvelenati, obbligati dagli eventi a scegliere tra Repubblica (spallettiana) e Monarchia (tottiana), mentre la Roma si sbriciola nelle sue incertezze. Totti e Spalletti come i duellanti conradiani d’Hubert e Feraud, che hanno prolungato il loro astio mentre la Storia, inesorabilmente, voltava pagina cancellando il senso delle parabole e delle miserie individuali.
Auguri, capitano.
Il Mattino