Jorginho prende per mano l'Italia: è lui l'unico vero insostituibile

Jorginho prende per mano l'Italia: è lui l'unico vero insostituibile
A Londra, nella sua Londra. Jorginho fa da padrone di casa per l'Italia che sfida l'Austria sabato a Wembley. Nella città che lo ha consacrato tra i big, nella...

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A Londra, nella sua Londra. Jorginho fa da padrone di casa per l'Italia che sfida l'Austria sabato a Wembley. Nella città che lo ha consacrato tra i big, nella squadra in cui è maturato ancor di più, tanto da spingere Mourinho a definirlo «il più bravo al mondo». Italiano per caso ma non per sbaglio. Nello sport si chiamano oriundi. «Non ho mai avuto dubbi, volevo giocare con la Nazionale azzurra e non con il Brasile». Jorginho debutta titolare con l'Italia nella notte dell'apocalisse: quella dello 0-0 con la Svezia, l'11 novembre del 2017. Ora c'è lui al centro di ogni cosa del gioco del ct Mancini. Lo aveva solo intuito Ventura, fuori tempo massimo. Insegue un gol che pure farebbe la storia, perché solo tre oriundi Eder (2016), Guaita e Orsi (1934) hanno segnato in una fase finale di un Europeo o di un Mondiale. Sangue brasiliano sotto la maglia azzurra. Mai una chiamata dalle selezioni verdeoro, neppure per sbaglio. Ora è il simbolo dell'Italia che è cambiata. Frello Filho Jorge Luiz ha atteso per quasi cinque anni la chiamata dell'Italia: diventa italiano nel 2012, con la firma al Comune di Verona (il sindaco è Tosi e la sua foto è in bella mostra nella sua abitazione a Primrose Hill). Prima di essere convocabile devono, però, trascorrere 4 anni. Quando Conte lo fa debuttare con la Spagna lo chiamano traditore in Brasile. Il trisnonno era partito dal Veneto, come tanti alla fine dell'Ottocento. 

È uno dei sei che non si è inginocchiato prima della gara col Galles. E non lo farà neppure con l'Austria. Che cosa deve dimostrare un figlio di emigranti che a sua volta è stato emigrante pure lui e che ha, tra i suoi migliori amici, Koulibaly? Ha vinto una Europa League, ora una Champions. Ha le chiavi del centrocampo di Mancini tra le mani. Come aveva quelle del Napoli di Sarri. Già, il suo uomo del destino. Dopo sei mesi stava tornando al Verona, dopo che Benitez lo aveva piazzato in una mediana a due dove non faceva altro che rimediare figuracce. Per cinque milioni, nell'estate dell'arrivo di Sarri, il Napoli lo riscattò. E nel 4-3-3 è diventato Jorginho. Il giocatore a cui si è ispirato come uomo è stato Kakà. A livello di campo Pirlo e Xavi. Di Pirlo, di fatto, è diventato l'erede nell'Italia. A insegnargli il calcio, la mamma Maria Tereza. Lo portava sulla spiaggia di Imbituba a ogni ora e a quattro-cinque anni gli faceva vedere come stoppare la palla, come calciarla, come lanciare. E poi tanta tecnica: «Perché sulla sabbia è più complicato ma quelle lezioni non le dimentichi più». 

Sì, uno su mille ce la fa. Per un anno e mezzo in Italia va avanti con 20 euro in tasca, vuol tornare a casa ma la madre, sempre lei, gli dice di non farlo. Il primo stipendio è di 600 euro che spende con tutti i compagni del convitto con cui aveva vissuto per un anno e mezzo in una fiera a due passi da Verona in regali e cibo. Rafael, il portiere del Verona e del Cagliari che lo adottò, gli presentò il suo attuale agente che non ha mai voluto lasciare, nonostante le tante lusinghe. Sarri lo trasforma in un talento, deve tutto al tecnico di Figline. Mancini ha da tempo consegnato l'Italia a Jorginho le chiavi del motore azzurro. Nelle 31 volte in cui è andato in campo (e di queste ben 29 da titolare) l'Italia ha perso solamente due volte, e sempre in amichevole, con Argentina e Francia. In questo Europeo la sua luce sta splendendo: d'altronde, è uno dei pochi che sa come si vince perché l'ultima Champions l'ha conquistata con il suo Chelsea. Wembley è lo stadio dove non ha mai vinto. Una maledizione. Quattro finali e quattro sconfitte. Due con il Manchesteri City (in coppa di Lega e Community Shield), una con il Leicester (Fa Cup) e una con l'Arsenal (ancora in coppa di Inighilterra). Ora serve un tocca magico. Da protagonista. Come sempre quando c'è Re Giorgio in mezzo al campo. 

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Il Mattino