La farfalla che prese a pugni il mondo

Se n'è andato, murato nei suoi interminabili silenzi, l'uomo che infilò i guantoni alle parole, la farfalla che prese a pugni il mondo. Sfidando i razzisti,...

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Se n'è andato, murato nei suoi interminabili silenzi, l'uomo che infilò i guantoni alle parole, la farfalla che prese a pugni il mondo. Sfidando i razzisti, i perbenisti, i miopi, gli ignoranti. Tutti quelli che non lo capivano, o lo biasimavano. Non solo sul ring, ma soprattutto fuori dal ring.


Muhammad Ali ha vissuto più vite dentro i suoi straordinari 74 anni: è stato Cassius Marcellus Clay, nipote di schiavo da Louisville, Kentucky, fino al 1964, quando abbracciò, e per sempre, la fede islamica con un nome che è tutto un programma: «Amato da Dio»; è stato medaglia d'oro alle Olimpiadi, un disertore, un obiettore di coscienza, un carcerato, un paladino dei diritti civili dei neri, un campione del mondo, un trascinatore, un ballerino, una voce unica persino quando non aveva più voce, con il suo volto tremante, scolpito nel nulla. Stupì Roma nei giochi più belli di sempre, poi l'America volle arruolarlo in una guerra nella quale non credeva, semplicemente perché «io non ho niente contro questi Vietcong».

Fu disprezzato, processato, condannato. L'atleta perse alcuni degli anni migliori, l'uomo si costruì la corazza dell'eroe. Ne valse la pena. I suoi incontri hanno ancora il sapore della leggenda. Era arrogante, guascone, irritante: agli avversari riservò il veleno della sua lingua e la forza dei suoi colpi, ai seguaci frasi che restano ancora incise nella memoria collettiva. Un miracolo, dette da uno che a stento sapeva leggere. Ali diede senso a quello che Albert Camus formulò nella sua architettura filosofica: «Mi rivolto, dunque siamo». Insieme con Martin Luther King, Malcom X, il fiume nero d'America (e d'Africa). Perse più matrimoni che match, lui era il re e gli altri, semplicemente, dei campioni: Liston, Frazier, Norton, Foreman, Holmes.


Sul quadrato scappava, danzava, pungeva con lo sguardo e poi con i pugni. Ne ha presi ugualmente tanti, di cazzotti, in egual misura sulla faccia e nell'anima. Non si è mai arreso, neppure quando il Parkinson lo ha aggredito. «Tutto quello che posso fare è combattere per la verità e la giustizia». Ha eseguito lo spartito, a modo suo. Ineguagliabile. Ha scritto il grande Norman Mailer: «Ali è il Principe del Paradiso: lo dice il silenzio che circonda il suo corpo quando lui è luminoso». Sarà difficile che Dio - il nostro o il suo fa lo stesso – riesca a prenderlo a pugni: Ali schiverebbe anche lui. E poi, guardandolo dritto negli occhi, ci riderebbe sopra. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino