Lobotka, la rinascita del regista: macché ciccione, è un fenomeno

Lobotka, la rinascita del regista: macché ciccione, è un fenomeno
Era fino a pochi mesi fa il brutto anatroccolo. Quasi ai margini, sempre alle prese con qualche malanno fisico che ne ha condizionato il rendimento. Due tonsilliti (il secondo...

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Era fino a pochi mesi fa il brutto anatroccolo. Quasi ai margini, sempre alle prese con qualche malanno fisico che ne ha condizionato il rendimento. Due tonsilliti (il secondo intervento a marzo), una pubalgia, una dieta che lo ha portato a perdere quasi 9 chili (ma era ingrassato proprio per i problemi collegati alle tonsilli): rieccolo Stanislav Lobotka il piccolo gioiello che Cristiano Giuntoli ha inseguito per quasi sei mesi, prima di riuscirlo a strappare al Celta Vigo nel gennaio del 2020, quando Gattuso era appena arrivato. Non facile l'ambientamento, nonostante Hamsik, slovacco come lui, gli abbia garantito un bel po' di contatti in quello che era il suo storico gruppo di amici a Castelvolturno. Lui ce ne ha messo di tempo per capire, ma anche per trovare la collocazione giusta in mezzo al campo. E per trovare il tecnico, Spalletti, che si fidasse di lui. 

E quindi la trasformazione, da brutto anatroccolo a cigno. Una mutazione. È tornato titolare in campionato, quando lo scorso anno non lo era mai stato perché con Gattuso c'erano state delle incomprensioni legate ai suoi accidenti fisici. Ma non era un bidone, non era uno un flop di mercato. E un piccolo gioellino grezzo, esaltato dal lavoro e dalla fiducia di quello stregone che è Luciano Spalletti. Che lo ha incoronato l'altra sera: «È come Jorginho». Non male come peso: però a pensarci bene, sono praticamente due gocce d'acqua quando si tratta di avvicinarsi al compagno. Il primo movimento, quello che si fa con le gambe e con le braccia. E prima ancora con la lucidità. Perché quando il pallone è tra i piedi di uno dei quattro difensori (oppure di Demme, come nel caso del match con la Samp), il movimento Lobotka è praticamente identico a quello che faceva Jorginho ai tempi del Napoli di Sarri. Perché il movimento fatto con il corpo è sempre quello di andare verso il pallone, a porsi in una posizione di luce per il compagno che sta portando palla. Con le braccia però, e allo stesso tempo, c'è la possibilità di indicare la zona che si andrà ad occupare con il proprio corpo di lì a qualche frazione di secondo. Oppure, e anche qui c'è una certa similitudine, si indica un altro compagno smarcato per dare maggiore velocità all'uscita palla. Sotto questo punto di vista, i movimenti dei due mediani sono, praticamente, sovrapponibili. C'è anche la precisione nel tocco, soprattutto nel breve. Caratteristiche che sono state esaltate anche con la Juventus, e non solo domenica con la Sampdoria. Il passaggio a meno di 15 metri trova sempre un'altra maglia azzurra pronta a far proseguire l'azione, ogni tocco del genere tende a pulire l'azione, apre il campo all'azione partenopea. Ma ci sono anche delle distanze. La più grande differenza tra Jorginho e Lobotka è legata nella capacità di portare palla. Se la capacità di lavare palloni dell'italo-brasiliano è essenzialmente legata alla rapidità nel tocco, lo slovacco tende a avere una maggiore propensione a trattenere il pallone. Una vera e propria impostazione che nasce dai trascorsi spagnoli di Lobotka, nella Liga, a differenza di una costruzione quasi in vitro del play Jorginho voluta da Sarri con questi crismi e dettami. 

Dal punto di vista della fase difensiva, Jorginho e Lobotka sono molto vicini nella capacità di interdizione: per l'attuale play del Chelsea c'è un'esperienza più importante che lo rende quasi maestro nell'andare a frapporsi tra due avversari e recuperare un pallone senza contatto fisico, mentre lo slovacco sta recuperando su questo terreno ed ha fatto sensibili progressi come hanno dimostrato anche le ultime partite, in particolare quella contro la Juventus. Per struttura fisica invece Lobotka è più teso al contrasto con l'avversario a differenza di Jorginho che non riesce ad avere quella esplosività tale da potersi sentire sereno nell'uno contro uno in fase di non possesso. In ogni caso il brutto anatroccolo è diventato un cigno.

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Il Mattino