Morto Abdul Qadir Jeelani, il basket in lutto

Abdul Qadir Jeelani
ROMA. Un tam tam in rete. Le notizie oggi corrono veloci da una parte all’altra del mondo e quella arrivata dagli Usa alle prime ore della mattina ha fatto stringere il...

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ROMA. Un tam tam in rete. Le notizie oggi corrono veloci da una parte all’altra del mondo e quella arrivata dagli Usa alle prime ore della mattina ha fatto stringere il cuore. Abdul Qadir Jeelani, il cestista americano che fece impazzire la Roma biancoceleste che ama il basket è volato via al suono della sirena della sua tormentata vita. Aveva solo 62 anni e la partita contro una lunga malattia non è riuscito a vincerla. Scelto al terzo giro del draft del 1976 dai Cleveland Cavs non trovò subito spazio nella Nba e così iniziò la sua avventura europea. Scartato dalla Fortitudo Bologna approdò alla Lazio dove Giancarlo Asteo lo volle accanto a Robert “Bob” Elmore nella stagione 1977-78. Una coppia eccezionale, per talento e fisicità che avrebbe dovuto garantire una salvezza tranquilla.





Ed invece poche settimane dopo l’avvio del campionato il dramma con Elmore che venne trovato morto per una overdose di eroina nell’appartamento romano dove alloggiava. Le regole di allora non prevedevano possibilità di nuovi tesseramenti e così Jeelani, allora ancora Gary Cole il suo nome di battesimo prima che abbracciasse la religione musulmana, trascinò praticamente da solo la Lazio alla salvezza. La gente si era innamorata di questo lungagnone filiforme dalla mano fatata. Che l’anno dopo fu trattenuto nella capitale nonostante le lusinghe di tani top club europei. E Jeelani, affiancato questa volta dal trottolino McDonald, si mise alla guida duna pattuglia di italiani pieni di entusiasmo per un piccolo miracolo. Trascinò la “Lazietta” nel paradiso della serie A. Il Palazzetto di Viale Tiziano ribolliva di entusiasmo per le sue giocate e la sezione basket della Polisportiva biancoceleste si guadagnò le prime pagine dei giornali. Le grande giocate non sfuggirono allo sguardo degli scout della Nba e Jeelani entrò dalla porta principale nella Nba. Un anno a Portland quindi uno con i neonati Dallas Mavericks. Furono suoi i primi due storici punti nella lega siglati dalla squadra texana, dove per qualche settimana incrociò anche Clarence Kea che qualche anno dopo avrebbe regalato con Larry Wright lo scudetto alla Virtus Roma. Quindi il ritorno in Italia, a Livorno, dove divenne leader ed idolo della Libertas e poi la chiamata in spagna con il Saki Baskonia. Nel 1987 il ritiro ed il rientro negli Usa per un parabola discendente repentina. Investimenti sbagliati, amicizie dubbie ed in pochi anni la stella Jeelani divenne un senza tetto costretto a chiedere qualche dollaro per sbarcare il lunario. La notizia del suo stato di indigenza molti anni dopo è rimbalzata in Italia e grazie all’impegno del nuovo presidente della Lazio Basket Simone Santi, uno degli eredi di una storica stirpe di baskettari romani,Abdul è tornato in Italia. “Qui mi sento a casa, spero di dare una mano a chi sta peggio. Lo sport per me è sempre stato questo: conoscere il mondo, stare con le persone, non il busines”.



Questa frase, pronunciata nella capitale dove Santi gli fece seguire dei giovani cestisti, è un po’ il suo testamento sportivo. Ma la sua lunga partita non era ancora finita. Un tumore alla prostata lo costrinse a tornare dopo un po’ di tempo negli Usa. Grazie ai social Jeelani non ha perso più i contatti con i fans e gli amici italiani, ma lentamente la malattia ha preso il sopravvento. Fino a pochi giorni dal suo ultimo ricovero ha continuato ad insegnare basket, la cosa che sapeva fare meglio. Poi in rete la notizia della morte, data dai figli. E un susseguirsi di ricordi e tributi che ora incorniceranno, il suo volto con uno splendido sorriso.   Leggi l'articolo completo su
Il Mattino