Non segna, ci va vicino, ma sta dietro e dentro la custodia della vittoria del Napoli. Fabian Ruiz, vagocampista, di spessore inedito, ha uno sguardo da latifondista sul campo,...
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Fabian Ruiz quando gioca così lascia intravedere un pezzo di futuro sul quale fondare il resto del centrocampo, un modello da adottare, capace anche di andare a segnare o provarci, tirando all'incrocio dei pali e lasciando la porta di Thomas Strakosha a tremare per il resto della partita e della notte. Ma non ha importanza segnare quando si gioca così, il gol diventa solo un gadget utilissimo per sintetizzare la prestazione. Poi verranno anche i gol, se Ruiz continua a dominare campo e gioco in questo modo, se con qualità enorme riesce a portare il pallone da una area di rigore all'altra, se con eleganza apre varchi e innesca azioni, fuori dalle cerimonie dei soliti registi, senza esasperazioni estetiche, padrone dei propri gesti e soprattutto con uno spirito luterano che lo porta all'essenzialità. Un beato costruttore di ripartenze, suffragato da una sponda perfetta in grande serata: Arek Milik, che gli sta davanti e lo assiste. Ogni passaggio è un segno, ogni segno una promessa, ogni promessa una speranza, e intanto Fabian Ruiz ne produce a nastro, un incallito produttore di palloni da giocare, di corridoi liberi da marcature, quasi praticasse una disciplina esoterica che genera possibilità di gol.
Fabian Ruiz è un giocatore che non ha bisogno del pallone, quindi un giocatore senza mondo, che ne genera uno ogni volta che conquista o riceve la palla, si mette e con semplicità davanti agli occhi degli increduli, dei miscredenti d'agosto e del mercato che non basta mai, dei troppo giovani che devono per forza essere dei bidoni e un sottilissimo ragionamento, si mette e ne costruisce uno. Simone Inzaghi ha perso il conto dei palloni e dei mondi generati da Fabian Ruiz (tra l'altro appartiene a quelli che hanno nome e cognome inscindibili e soprattutto che suonano benissimo quando si tratta di cantarli), gocce di luce pallonara che hanno accecato i laziali e illuminato i napoletani. È stato al centro della partita sempre, compensando le carenze di alcuni dei suoi, soccorrendo e sostenendo, e generando una visibile euforia in quelli davanti, assistiti dall'aviazione Fabian Ruiz. Brillante e feroce, pronto a cogliere le incongruità degli avversari, e a elaborarne gli errori, con una grande capacità di resistenza e rielaborazione. Fabian Ruiz riesce a cucire i suoi e spezzare gli altri, rendendoli crepuscolari anche quando manca ancora mezz'ora, animato da una robustissima forza d'animo che viaggia parallela ai sorrisi di Carlo Ancelotti. Il vagocampista spagnolo appartiene ai napoleonidi del pallone, quelli che non vedi subito ma che poi ti costringono a misurare il campo e a chiederti come mai non c'avevi pensato prima, e più lo perdi, più ti condiziona la partita, più ti chiedi da dove sono uscite tutte quelle indefinite virtù calcistiche. Erano sempre state lì, qualche volta le domina l'indolenza, scatenando una fortunosa discontinuità che poi porta alle sottovalutazioni di cui sopra, e altre, come nel caso della partita con la Lazio, al dominio dei tempi e degli spazi dell'incontro. Che lo porta a generare la trama tattica, con accelerazioni da scapigliatura e ritrattazioni balcaniche, fino a creare uno scompenso negli avversari. Fabian Ruiz è il generatore dei tempi calcistici del Napoli e, di conseguenza, della distruzione di quelli della Lazio, così tra giri di pallone e d'orologio, tra entrate in recupero e lanci in avanti, ecco che torna il titolo di latifondista, cioè padrone del latifondo, e quindi del campo. ogni suo intervento è una ispezione di proprietà, che genera intimidazioni o che allarga ad abusi: sconfinamenti autorizzati, di Callejon (che segna il suo primo gol in campionato), Mertens o Milik. Fate come se foste a casa vostra, anche se è l'area della Lazio, infatti oltre i due gol vanno segnati quattro pali, di cui uno di Fabian Ruiz in un eccesso d'esercizio come padrone terriero. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino