Un amore senza fine quello che lega Paolo Cannavaro a Napoli. La sua città ma anche il posto dove avrebbe voluto vivere a pieno la sua passione, il calcio. Ora la nuova...
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Un sogno legato a quella maglia però resta vivo, e anche la speranza, si sa, è l’ultima a morire: «Mi piacerebbe tornare a lavorare nel Napoli sotto altra veste. Napoli per me è tutto». Di tira e molla con il club, in fondo, ce ne sono stati parecchi nella storia del difensore della Loggetta. Cresciuto nel vivaio, dopo le esperienze in prima squadra lasciò il capoluogo campano per vestire i colori del Parma e del Verona, prima del ritorno in azzurro, dove è rimasto per ben otto anni. «All’epoca Fedele mi telefonò e mi disse che c'era la possibilità di tornare perché Marino mi voleva. Senza alcun dubbio dissi subito sì. Volevo assolutamente tornare a giocare nel Napoli. Sul mio corpo è tatuata la data della promozione in Serie A. Con i tifosi ho sempre avuto un rapporto eccezionale», ha raccontato Paolo. Ma ci sono stati anche momenti grigi durante il cammino: «Una ferita dolorosa però, che ricordo ancora con tristezza, fu un match al San Paolo contro il Torino: venivamo da tre mesi difficili, fui tremendamente fischiato dai tifosi ogni volta che toccavo il pallone. Chiesi a Contini di passarmi palla e sbagliai, sparai il pallone in tribuna. In quel momento però non riuscivo a capire perché i tifosi fischiavano proprio un napoletano, non me lo meritavo. Tuttavia da quell’istante mi sono svegliato e ho cercato di fare ancora meglio. Così sono stato ancora più amato dai tifosi». Poi l’addio, anche quello un momento triste: «Dopo sette anni e mezzo capii che non ero nei piani del nuovo allenatore, Benitez. A 32 anni allora fui costretto con grande dispiacere di lasciare la squadra».
Ma le avventure nel calcio sono tante, e l’esperienza lo ha talvolta messo davanti a grandi campioni: «Il giocatore più forte che ho incontrato nella mia carriera credo proprio sia Buffon: è davvero impressionante. Un calciatore che invece ritengo sfortunato e che forse avrebbe potuto vincere addirittura il Pallone d'oro è Adriano».
Oggi intanto al Napoli un altro napoletano vuole scrivere la storia: Lorenzo Insigne. «Auguro al mio compaesano di diventare il Totti di Napoli, quello che avrei voluto essere io. È un talento eccezionale e la società dovrebbe preservarlo. Lo paragonai subito ad Ortega, uno di quei giocatori che fanno innamorare immediatamente. E anche caratterialmente deve restare così: è un giocherellone. Gli auguro grandi cose». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino