Napoli, tutta Bagnoli tifa Sarri: «Bentornato, ora vinci»

Napoli, tutta Bagnoli tifa Sarri: «Bentornato, ora vinci»
Nella Bagnoli che non è più Bagnoli, Maurizio Sarri farebbe oggi fatica a riconoscersi. E infatti ne fa. Aveva meno di tre anni quando ha lasciato la sua abitazione di via...

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Nella Bagnoli che non è più Bagnoli, Maurizio Sarri farebbe oggi fatica a riconoscersi. E infatti ne fa. Aveva meno di tre anni quando ha lasciato la sua abitazione di via Silio Italico, nel 1961, e tutto quello di cui nel corso dei decenni successivi gli ha poi raccontato il padre Amerigo è svanito nel nulla. Della fabbrica dell’Ilva, l’ex Italsider (che ai suoi tempi non si chiamava ancora così), dell’orgoglio operaio e delle antiche lotte di classe c’è qualche traccia, in un tripudio di rumorosi gabbiani.




Ma poca roba, si sa. Lo sa pure lui, che anche per questo ha evitato di andare a vivere da queste parti. «Perché tanto è cambiato tutto. Ma proprio tutto», ha raccontato per spiegare il motivo della scelta della casa a Lago Patria piuttosto che a Pozzuoli. Non c’è più neppure la base Nato che quando i Sarri vivevano nella casa con vista sulle ciminiere, era stata da poco piazzata a pochi passi dalle palazzine operaie dove Maurizio è nato. Qualche volta è passato per Bagnoli, in questo primi due mesi da allenatore del Napoli. Lo ha fatto anche quando guidava il Sorrento, pochi anni fa. Più che altro perché glielo ha chiesto Amerigo, 86 anni, il padre. Anche se qui, ormai, nessuno degli amici del “babbo” è rimasto in vita, nessuno dei punti di ritrovo della sua famiglia è ancora lì a poter testimoniare il loro passaggio. «Ma come si fa? Qui è cambiato tutto, proprio tutto. Anche noi. All’Italsider eravamo in 10-12mila.



E almeno altri 15mila lavoravano nelle ditte esterne. Era toscano? Ma sa in quanti venivano qui dal Nord per lavorare? Non come adesso che mio figlio è dovuto andare in Sicilia. Ma molto meglio che stare qui», spiega sorridente ma amaro Giovanni Cotugno, ovviamente pensionato, seduto nel giardinetto che dà sulla stazione della Cumana. L’ex Italsider è circondata da centinaia di metri di muro, e più nessuna insegna. Là sopra, da qualche parte, stava scritto il nome della fabbrica: adesso niente, la fabbrica non si chiama più. I fiorellini attaccati a qualche lampione in una specie di antico funerale sono secchi, e nel vento penzolano brandelli di scotch. Silenzio profondo, tranne che nei bar.



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