De Laurentiis e Spalletti: «Luciano resta con noi, porteremo avanti un progetto con questi giocatori»

Scatta il rinnovo automatico per il terzo anno a 2,7 milioni di euro

De Laurentiis e Spalletti al premio Bearzot
Sibillino non lo è mai. Per carità: neppure al Premio Enzo Bearzot risparmia la sua schiettezza dialettica ricordando i malanni di Gattuso e riferendo dei...

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Sibillino non lo è mai. Per carità: neppure al Premio Enzo Bearzot risparmia la sua schiettezza dialettica ricordando i malanni di Gattuso e riferendo dei «lauti banchetti» con Allegri solo «per depistare». Lo fa con l'intento di esaltare Spalletti «la mia felice intuizione», ma Aurelio De Laurentiis non smette mai di essere vulcanico. E anche piuttosto velenoso: «Se le regole fossero diverse, forse avremmo vinto già lo scudetto, pure lo scorso anno». Lo dice al cospetto del capo dello sport, Malagò, che lo ascolta col sorriso. Il presidente del Napoli ha il suo modo tradizionale di mettersi in mezzo quando è felice. E lo è. Tanto. Per lo scudetto a un passo, per la marcia trionfale in Champions. E allora va a ruota libera, senza bisogno di domande: «Spalletti resta con noi», dice col sorriso stampato in faccia. Nessuna rivelazione: ovvio che il patron vuole che resti, è il segreto di Pulcinella. Chi farebbe andar via l'architetto di un simile capolavoro? Bisogna capire però a quali condizioni: perché mica siamo certi che Spalletti dirà di sì al rinnovo automatico per il terzo anno (a 2,7 milioni di euro) come da contratto. Forse, Lucianone vorrà incontrarsi per discutere del presente e del futuro. Inevitabilmente. Perché il biennio napoletano lo ha rilanciato e in tanti, in Premier e non solo, lo coccolano in attesa di un gesto. Ma nulla può turbare l'euforia del presidente di questi giorni in cui, con la Nazionale a Napoli, la città e il Maradona sono stati la capitale del calcio. 

Segue la premiazione al fianco di Spalletti. «Sono felice per il Premio Bearzot vinto da Luciano. È stata una felice intuizione. Ho dovuto depistare all'inizio perché i giornalisti non si fanno mai i fatti loro. Lo andai a trovare perché Gattuso in quel momento non si sentiva bene (aveva avuto dei problemi agli occhi, ndr) e allora mi recai a Milano in quell'immenso grattacielo (Bosco Verticale, ndr) per incontrare Spalletti, che avevo sentito già prima che andasse alla Roma. Quella volta si presentò da me con un grande cappello, non lo riconobbi e pensai che mi volesse menare. Poi a Milano (inizio 2021, ndr) gli dissi: Luciano ho un grosso problema, se non si dovesse sentire bene (Gattuso, ndr) ho bisogno che tu venga. E lui: No, a giugno vengo, ma ora no. Alla fine gli strappai un sì... Se fosse accaduto qualcosa, se fosse servito, lui sarebbe arrivato. Poi siamo andati avanti fino a giugno perché sono un gentiluomo e non ho voluto segare il precedente allenatore. Forse sarei andato prima in Champions se l'avessi fatto (in realtà, fu un girone di ritorno da record: 43 punti. Senza Osimhen infortunato per 4 mesi, ndr)». Divertito, racconta quello che fece in quei giorni «per depistare tutti». Dice: «Passai per vari allenatori, per quell'altro che sta alla Juventus (Allegri, ndr) che venne per quattro volte a farmi lezione di calcio durante dei lauti banchetti e poi alla fine venne il bravo Luciano a riportarci tra i primi tre in Italia. E anche quell'anno, forse, poteva accadere qualcosa di diverso se le cose fossero un po' più lecite». 

La sala dei Baroni del Maschio Angioino è piena zeppa. Il presidente si racconta. «Siamo partiti dal basso. Incredibile quello che abbiamo fatto. Nel 2004 vidi l'enorme pancia di Gaucci che voleva comprare il club per 5 milioni di euro. Perché il Napoli si vende?. E allora contro il parere di mia moglie e di mio figlio Luigi, che voleva impadronirsi di Hollywood, iniziai quest'avventura bellissima». Nel momento del trionfo, gli vengono in mente i giorni nella polvere. «Andavo in questi campetti del Sud a prendere gli sputi sulla testa e a chiudermi negli spogliatoi, pensai: Ho fatto proprio una bella carriera, da Los Angeles a qui. Ma ora mia moglie è più tifosa di me». 

Rieccolo, poi, riproporre il vecchio remake delle «proposte indecenti» che tradotto in parole semplice significa: tutti sono cedibili. Non c'è nulla di male. «Ma io i contratti li so fare, se non lo decidiamo noi, non si muove nessuno». Lo scudetto del bilancio lo riempie di orgoglio. È prudente. «Se le regole del calcio fossero diverse forse lo scudetto lo avremmo portato a Napoli già altre volte». E aggiunge: «Quello che è successo per vent'anni non è detto che sia finito», dice riferendosi alla serie Netflix sulla Fifa. Infine la festa per lo scudetto: «Lavoriamo a una superfesta, da fare in 10 piazze di Napoli. E pensiamo a coinvolgere gli 83 milioni di tifosi virtuali che abbiamo in giro per il mondo». 

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Il Mattino