Nazionale, dai tormenti al riscatto: i cento giorni più lunghi di Mancini

Nazionale, dai tormenti al riscatto: i cento giorni più lunghi di Mancini
Cercavamo qualcosa a cui aggrapparci, invece è stato nuovamente toccato il fondo. Scontato che Roberto Mancini non ha alcuna intenzione di dimettersi, altrimenti lo avrebbe...

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Cercavamo qualcosa a cui aggrapparci, invece è stato nuovamente toccato il fondo. Scontato che Roberto Mancini non ha alcuna intenzione di dimettersi, altrimenti lo avrebbe fatto nella notte di Mönchengladbach, è evidente che la fiducia di Gravina non può essere a tempo illimitato (Cannavaro e De Zerbi restano ancora alla finestra). In Germania l'Italia è stata abbattuta e ha mostrato la faccia di chi si è appena affacciato sull'abisso e ha visto che non ci sono maniglie né cinture di sicurezza. Lui, il ct ieri ha affidato a twitter la descrizione del suo pensiero. Donnarumma, il capitano, la faccia l'ha messa. E ha chiesto scusa anche per i suoi errori. Mancini va invece come un treno in un'altra direzione: «Quello iniziato qualche settimana fa è un nuovo percorso che prevede cose fatte molto bene e altre meno. Bisogna ancora crescere nella consapevolezza, ma lo faremo tutti insieme da vero gruppo». Dunque, non molla. Non lo ha fatto dopo il ko con la Macedonia del Nord e non lo fa adesso. Eppure il rischio grosso è che questa Italia possa trascinare lentamente tutti dalla rabbia all'indifferenza, dando ragione ai club che considerano la Nazionale quasi un fastidio. 

Si riprende con i test a settembre, il 23 a Milano contro l'Inghilterra e tre giorni dopo contro l'Ungheria di quel ct Rossi che ha vinto per 4-0 in casa degli inglesi martedì notte. Cosa c'è da attendersi? Poco o nulla. Certo, le rotazioni fatte con la Germania sono state devastanti e illogiche: hanno ferito nella fede, nell'intima sicurezza che comunque lentamente il calcio italiano si stava risollevando dall'abisso. E invece, ogni volta, sembra che il peggio debba ancora venire. Due lezioni da Argentina e Germania dai risvolti epocali: non semplice sconfitte, vere e proprie sberle. Da dopo la Macedonia, Mancini ha deciso di far esordire dodici calciatori in due settimane e tra questi i promettenti Frattesi, Gnonto, Pobega, Dimarco, Ricci, Cancellieri, Zerbin, Gatti, Esposito, Luiz Felipe, Caprari e Scalvini. Bisognava inserirli in maniera graduale, per evitare umiliazioni che certo non aiutano nella risalita. Esposito, Gatti, Zerbin e lo stesso Gnonto hanno esordito in azzurro senza aver mai vissuto un minuto di Serie A. La mamma del ct Mancini, ancora una volta, sintetizza al meglio il momento: «L'Italia ha tutti giocatori emergenti mentre la Germania ha calciatori affermati, i nostri devono trovare coraggio perché sono giovani ma non si possono fare le nozze coi fichi secchi. A settembre, probabilmente, dovremo prima andare a Lourdes». ha detto parlando a Radio Rai.

«Il risultato con la Germania parla da solo», ha sospirato Giovanni Malagò, il presidente del Coni. «Quando tu sperimenti, metti in campo tanti giovani ed esordienti, soprattutto contro una squadra come la Germania, non dovrebbe succedere ma può succedere quello che è accaduto. È chiaro che il percorso passa da momenti nei quali ci sentiamo ritornati in auge a quelli dolorosi come ieri sera. Questo è un dato di fatto ma non ci si deve entusiasmare o eccitare troppo se facciamo un buon risultato con questi ragazzi ma non ci si deve deprimere se le cose sono andate così, perché è chiaro che la sconfitta è comunque pesante», dice ancora Malagò. «Ma Mancini resta la persona più adatta di tutti». «All'Italia manca un fuoriclasse in attacco. Bisogna avere pazienza e speranza di trovare un fuoriclasse come Totti, come Baggio o come Del Piero. Perché adesso non lo vedo ancora», ha sbottato Marco Tardelli. Duro anche José Altafini: «I giovani che abbiamo visto nelle ultime gare sono promettenti, ma non ancora maturi. È normale che paghino lo scotto. Le cose vanno fatte gradualmente. Io non ho ancora capito perché alcuni calciatori che hanno vinto l'Europeo siano stati esclusi. Alcuni sicuramente bisognava ringraziarli dandogli un mazzo di fiori e tanti cari saluti. Ma altri, tipo Jorginho, Verratti e Immobile, perché non possono più giocare? Il Brasile nel 1962 ha vinto il Mondiale con quelli del 58, c'era gente con più di 30 anni». E l'anno nero per l'Italia, un anno che è appena al suo giro di boa. E che ci vedrà in autunno sparring partner di chissà chi in vista del Mondiale in Qatar. Perché da ottobre in poi non faremo altro che allenare altri alla sfida della Coppa del Mondo. Come 4 anni fa. 

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Il Mattino