Raciti, dieci anni fa l'omicidio che fece precipitare il calcio nel buio

Filippo Raciti
Giro di vite. Campionato sospeso. Partite a porte chiuse. Tornelli all’ingresso degli stadi. Biglietti rigorosamente nominali. Modello inglese. Frasi ripetute ossessivamente...

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Giro di vite. Campionato sospeso. Partite a porte chiuse. Tornelli all’ingresso degli stadi. Biglietti rigorosamente nominali. Modello inglese. Frasi ripetute ossessivamente il 2 febbraio 2007 quando, negli scontri tra ultrà e polizia dopo Catania-Palermo, il calcio italiano toccò il suo punto più basso con l’uccisione dell’ispettore Filippo Raciti. Delitto per il quale nel 2012 sono stati definitivamente condannati Antonino Speziale (all’epoca dei fatti minorenne) e Daniele Micale, entrambi per omicidio preterintenzionale, rispettivamente a 8 e 11 anni di reclusione. Speziale venne riconosciuto colpevole di aver scagliato un pezzo di lavello divelto dai bagni dello stadio contro Raciti, morto per il conseguente trauma epatico. Tragedia che fu l’apice di anni di tensione tra polizia e ultrà.


Clima che ebbe la coda l’11 novembre di quello stesso anno con la morte del tifoso della Lazio Gabriele Sandri, ucciso dall’agente Luigi Spaccarotella condannato in via definitiva a 9 anni e 4 mesi. C’è stato l’altro assurdo omicidio del napoletano Ciro Esposito in seguito ai fatti del 3 maggio 2014 (per il quale è stato condannato in primo grado a 26 anni il tifoso romanista Daniele De Santis), ma in quell’occasione il pallone rotolava lontano. Sul prato dell’Olimpico non c’erano i giallorossi ma Napoli e Fiorentina per la finale di coppa Italia e l’agguato mortale avvenne a Tor di Quinto, distante qualche chilometro dallo stadio.

Oggi si respira un’atmosfera di calma, non si sa quanto apparente. Gli impianti, rimasti vetusti e inadeguati tranne che per Juventus Stadium e Dacia Arena di Udine, sono costantemente semivuoti. Hanno avuto il loro peso le misure repressive (dai Daspo all’introduzione della flagranza differita), ma contano anche prezzi alti, crisi economica, scarso appeal delle partite e sovrabbondanza di offerta televisiva. Per dichiarare finita la “guerra” bisogna aspettare di rivedere stadi pieni e cronaca nera vuota. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino