Andrea Mancini e la Nazionale: «Al mio papà do qualche consiglio»

Andrea Mancini e la Nazionale: «Al mio papà do qualche consiglio»
Nella famiglia Mancini, Andrea è l'unico ad aver tentato di seguire le orme di papà. Un passato da calciatore (tra Ungheria, Spagna e Stati Uniti) e un presente...

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Nella famiglia Mancini, Andrea è l'unico ad aver tentato di seguire le orme di papà. Un passato da calciatore (tra Ungheria, Spagna e Stati Uniti) e un presente da dirigente (alla Fiorentina è il braccio destro del ds Pradè): motivi in più per avere un rapporto speciale con il genitore ct. Il calcio rappresenta uno dei piatti forti del menù di casa, l'occasione per stare insieme. Andrea è il secondo dei tre figli: Filippo è il più grande, Camilla la piccola di casa, ma tutti hanno il mito di quel padre che è stato campione in campo e condottiero in panchina.

Ma com'è il papà Mancini?
«Premuroso e cerca di stare molto vicino a noi figli. Con il passare degli anni è più lui ad aver bisogno di noi. È molto presente». 

La lezione più importante che vi ha dato?
«Il rispetto per tutti ed l'educazione. E poi l'umiltà». 

E a casa si parla di calcio?
«Ovviamente. Anche se cerca di portare poco il lavoro a casa». 

I risultati in campo influenzano il suo umore?
«Se la partita va bene o va male l'umore cambia. Certo, è bravo ed esperto nel dividere le sfere personali e lavorative, ma avendo un ruolo così esposto tende a somatizzare i risultati. Ma io lo percepisco subito come sta: mi basta ascoltare un paio di frasi appena risponde al telefono o entra dalla porta. È molto bravo a nascondere le emozioni, ma per me è carta conosciuta». 

Com'era l'umore dopo la vittoria con la Turchia?
«Ci siamo visti di sfuggita perché sono ripartiti subito per Coverciano, ma ho percepito l'entusiasmo e la felicità. Ma anche i piedi per terra: continuava a ripetere che ne mancano ancora sei». 

E lei come ha vissuto questa prima vittoria?
«Era importante iniziare bene e sapevamo tutti che non sarebbe stata una cosa facile. Anche ritrovare il pubblico dopo tanto tempo rappresentava una variabile impazzita». 

In casa Mancini come è stato vissuto il periodo di avvicinamento all'Europeo?
«Papà ha l'esperienza per gestire momenti belli e momenti brutti, e per fortuna ora sta andando tutto bene: è tranquillo e sereno, consapevole dei mezzi della Nazionale». 

Ci racconti un po' il vostro rapporto padre-figlio.
«Inutile negarlo: parliamo tanto di calcio. Mi piace potergli anche dare un consiglio, magari una parolina che non si aspetta. Capita spesso che ci scambiamo delle opinioni, ma ovviamente lui ha molto più occhio di me. Questo stesso rapporto lo ha anche con il nonno. È un grande intenditore di calcio e gli piace parlare con papà. Sono legatissimi: quando papà era piccolo non ha potuto vivere i genitori, invece ora va a trovarli almeno una volta a settimana». 

Torniamo all'Europeo. Lei ha vissuto l'aria del ritiro azzurro: il segreto di questa Italia?
«Penso che non sia un segreto, perché si vede benissimo dall'esterno: si divertono. E poi si respira serenità. Penso che il merito sia stato anche di papà che ha portato spensieratezza. E poi lavoro, umiltà e sacrificio. È evidente che adesso i giocatori vanno in Nazionale col sorriso, e i risultati si vedono in campo». 

Che idea si è fatto delle altre nazionali in gara?
«Tolte le strafavorite Francia, Portogallo e Inghilterra, mi è piaciuta l'Ucraina. Credo possa andare avanti».

Veniamo a lei e al suo ruolo alla Fiorentina: come si è arrivati alla scelta di Gattuso per la panchina?


«Commisso lo stava corteggiando da un po': al presidente è sempre piaciuto. Sono entrambi calabresi e il presidente va molto a empatia con le persone. Credo sia stata la scelta migliore. È un allenatore preparato».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino