Gianmarco Tamberi oltre i tormenti, un salto scritto sul gesso

Tamberi oltre i tormenti un salto scritto sul gesso
«Can we have two golds?». Lo stadio vuoto e il microfono ravvicinato ci fanno ascoltare la richiesta di Barshim all’ufficiale di gara: «Possiamo mica avere...

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«Can we have two golds?». Lo stadio vuoto e il microfono ravvicinato ci fanno ascoltare la richiesta di Barshim all’ufficiale di gara: «Possiamo mica avere due ori?». La risposta è sì, se voi siete d’accordo. E figurarsi se non sono d’accordissimo, questi due amici che si conoscono e si vogliono bene dai mondiali juniores del 2010 a Moncton, in Canada. Da fratelli decidono di spartirsi l’oro olimpico e di rinunciare a uno spareggio che sarebbe stato insensato. E dopo raccontano che se l’erano promesso da anni, che l’avevano sognato insieme l’epilogo del doppio oro, affratellati pure dall’aver sofferto gravi infortuni alla caviglia. Mai successo nell’atletica. Gli americani ci farebbero subito un filmone. Gianmarco Tamberi da Civitanova, marchigiano come Roberto Mancini, e Mutaz Essa Barshim da Doha, Qatar. Barshim, già bronzo a Londra 2012 e argento a Rio 2016, esulta in piedi, serafico, invece Gimbo si rotola e si appitona per terra, urla «E’ un sogno», quasi ha un mancamento, si tocca il cuore impazzito per provare a fermarlo, si torce così per un paio di minuti con una tarantola in pancia. 

E lì vicino, come da cinque anni, c’è il suo feticcio, il suo memento, il simbolo della caduta e della rinascita, se l’è portato pure in gara e l’ha usato come segna-rincorsa, mentre chiedeva e otteneva la claque al piccolo pubblico di tecnici e dirigenti là nello spicchio di stadio: è il gesso che avvolse la sua caviglia sinistra dopo l’infortunio del luglio 2016, a pochi giorni dai Giochi di Rio a cui sarebbe andato da favorito, aveva appena saltato 2.39, suo record. Dopo una settimana di lacrime a casa, Gimbo decise che a Rio sarebbe andato lo stesso, da spettatore. E ce lo ricordiamo tutti i giorni sui campi di gara in quei giorni luminosi e impossibili, a vedere tutte le gare che poteva, per immergersi nell’atmosfera che gli era stata negata: saltellando e negli ultimi giorni anche correndo, da tripede infervorato, in bilico sulle stampelle e con la gamba ingessata sollevata da terra, Gimbo inquadrava già disperatamente Tokyo, sul gesso aveva scritto “Road to Tokyo 2020”. 

Poi si sa com’è andata, il 2020 è stato sbarrato, è diventato 2021. Cinque anni. Sempre insieme a Chiara, sua fidanzata da 12 anni, che sposerà dopo i Giochi: per apparirle più serio, negli ultimi tempi ha rinunciato ai look bislacchi, la barba tagliata solo su metà viso o i capelli di tutti i colori, pure bianchi. E intanto recuperare da un incidente che per un saltatore in alto, gente abituata a volare, è come tagliare le ali all’albatros, dice Barshim: «Un attimo prima salti in cielo, l’attimo dopo non riesci più a camminare. Ti chiedi se potrai tornare come prima, è dura da affrontare. L’accordo sul doppio oro? È bastato uno sguardo, niente parole. Gimbo è uno dei miei migliori amici, è un po’ pazzo come me. Se festeggeremo? Potete giurarci. Magari per un anno». Gimbo, sette salti senza errori dal 2.19 al 2.37 come l’amico, passato nell’ultimo anno dalle Fiamme Gialle alle Fiamme Oro: «Mai provata un’emozione così e mai più la proverò, il cuore mi esplodeva. Fino all’altro ieri neppure pensavo di poter gareggiare. Notti insonni e lacrime versate sono servite. Fin dal primo giorno dopo l’infortunio ho avuto “Tokyo 2020” come mantra. E poi c’era il gesso, compagno di inconfessabili pensieri e giornate cupe, nemico e amico, la sua ombra. Chissà che fine farà. Forse la sistemazione migliore è in una teca, insieme con la medaglia d’oro dell’amicizia. 

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Il Mattino