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Per capire Osimhen bisogna cominciare dai suoi piedi, e di conseguenza dal numero delle sue scarpe: quarantaseiemezzo. Pare che gli scappino. Loro vanno, lui arriva dopo. Qualcosa tra Maurizio Nichetti e i film Disney, un cartone animato. Grosse scarpe che gli corrono davanti. Osimhen non corre, viene trascinato dai suoi piedi, per questo è immarcabile: una gamba puoi intuire che mossa farà, ma un piede no, è un sasso sull'acqua. I disubbidienti piedi sono la sua forza, appena riuscirà ad ammaestrarli, segnerà anche di più. Per ora segnano i suoi piedi, mentre lui pensa a cosa fare: loro vanno, tirano, si smarcano, decidono come nemmeno le sanità regionali italiane. Nella lentezza di trasmissione del pensiero c'è la goffaggine del suo calcio, che, però, dinoccolato, strascicante, impacciato, traballante, porta i gol. Mao-calcisticamente potremmo dire: non importa che il piede ubbidisca o meno, ma che segni; e fin quando segna, non ci sono problemi. È brutto da vedere? Pazienza. Piedi grandi e gambe forti, falcia il campo e poi, però, gli scappano i piedi, un gol lo mette, gli altri li perde, pazienza. Ci sta lavorando, sta cercando di ammaestrare i suoi piedoni. Anche lo scrittore Luciano Bianciardi aveva i piedoni e si disperava non dovendo rincorrerli, ma trovandosi a dialogare con loro di notte, quando si accorgeva del problema: il nichilismo dei suoi piedi. Osimhen ride, sottolinea errori e gol con grandi risate di distensione, vive il problema diversamente.
Pur avendo due lunghissime falangi pedestri, e trovandosi nella situazione clownesca di inseguirli, non si perde d'animo, e intanto segna pure, come è successo col Torino, beffando Bremer e Sirigu, con un colpo piedesco di carambola e rimando.
Il Mattino