'Ndrangheta, l'ex Juve Iaquinta condannato a due anni

'Ndrangheta, l'ex Juve Iaquinta condannato a due anni
Dalla finale di Berlino 2006 ad una condanna in un processo di 'Ndrangheta. Il tribunale di Reggio Emilia ha inflitto due anni a Vincenzo Iaquinta, ex attaccante della...

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Dalla finale di Berlino 2006 ad una condanna in un processo di 'Ndrangheta. Il tribunale di Reggio Emilia ha inflitto due anni a Vincenzo Iaquinta, ex attaccante della Juventus e della Nazionale campione del Mondo. È rimasto coinvolto in una vicenda di mancata custodia di armi, regolarmente detenute ma lasciate in passato nella disponibilità del padre che non poteva averle a causa di un provvedimento prefettizio. 


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Il genitore, Giuseppe, imprenditore calabrese trasferitosi nel Reggiano, è stato condannato a 19 anni per associazione mafiosa. Nel 2015 fu arrestato nella maxi-operazione 'Aemilià e anche la casa di Vincenzo, a Quattro Castella, venne perquisita dai carabinieri, proprio per le armi. Anche per lui l'accusa era pesante e la Procura aveva chiesto sei anni, contestandogli di aver agevolato, con la sua condotta, la consorteria criminale di cui fa parte il padre. L'aggravante è caduta in sentenza, ma la condanna per l'ex calciatore resta, in primo grado, scritta vicina a quelle di altri 118 imputati nel più grande processo di criminalità organizzata mai celebrato in Emilia-Romagna.

«Vergogna, ridicoli», hanno urlato Vincenzo e il padre mentre i giudici stavano ancora leggendo il dispositivo. Poi, usciti in fretta dall'aula bunker, Iaquinta si è sfogato: «Il nome 'ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia nella nostra famiglia. Non è possibile. Andremo avanti. Mi hanno rovinato la vita sul niente perché sono calabrese, perché sono di Cutro», ha detto, ricordando il Mondiale vinto e dicendosi «orgoglioso di essere calabrese. Noi - ha aggiunto - non abbiamo fatto niente perché con la 'ndrangheta non c'entriamo niente. Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente». Iaquinta è stato un attaccante forte fisicamente, ma anche versatile. Una dote particolarmente apprezzata da Marcello Lippi che ne fece uno dei punti di riferimento degli azzurri che nel 2006 vinsero il campionato del mondo in Germania, dove Iaquinta giocò cinque delle sette partite che portarono l'Italia ad alzare la coppa, segnando un gol nella partita d'esordio con il Ghana. Nella finale con la Francia entrò nel secondo tempo al posto di Totti, ma non calciò i rigori. È stato nominato ufficiale, come tutti gli altri azzurri campioni del mondo, dal presidente della Repubblica. In nazionale ha giocato 40 partite e fatto sei gol, prendendo parte anche al mondiale in Sudafrica.


In serie A ha giocato soprattutto con le maglie dell'Udinese e della Juventus. Il suo difensore, il professor Carlo Taormina, aveva inizialmente citato come testimoni anche gli ex compagni di squadra in bianconero Bonucci e Marchisio, per poi, però, rinunciare a sentirli. 'Aemilià non è solo Iaquinta. Ma è la conferma giudiziaria, con un ulteriore sentenza che si aggiunge alla pronuncia della Cassazione di qualche giorno fa, che la 'Ndrangheta in Emilia-Romagna era infiltrata. Il gruppo legato alla cosca Grande Aracri era autonomo e organizzato e i giudici, dopo una camera di consiglio di due settimane chiusi nella questura reggiana, hanno inflitto, appunto, 118 condanne in ordinario e altre 24 in abbreviato, per oltre 1.500 anni di carcere totali. «Aemilia apre la pista ad altri processi, come è avvenuto per i delitti degli anni Novanta, grazie alle collaborazioni dei pentiti. Ma ci sono altri profili che meritano investigazioni, le indagini non finiscono», ha detto il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato, riferendosi anche alla quarantina di sospette false testimonianze per le quali il tribunale ha rinviato gli atti alla procura. ​ Leggi l'articolo completo su
Il Mattino