«Ogni tanto si avvicina qualcuno e mi dice che quel giorno era a Torino, e poi mi racconta il gol. Comincio a pensare che avrei dovuto segnarmi tutti i loro nomi in questi...
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«Sono un uomo fortunato a cominciare da quel gol, nato dall'egoismo di Andrea Carnevale: che parte e non la scambia con me nonostante gli avessi chiamato il pallone, e poi è costretto a darmela. Se avesse passato prima, cambiava tutto, e si sarebbe ritrovato solo davanti alla porta. Invece, ha tergiversato e per questo finisco in fuorigioco. Alla fine, sul limite dell'area, finalmente, la tocca, io mi fermo e tiro». Un sinistro angolato, che finisce alla destra di Tacconi, che non può arrivarci. È il terzo gol, dopo quelli di Ferrario e Giordano che avevano ribaltato l'iniziale vantaggio della Juventus con Laudrup. Il gol di Fabio Grosso alla Germania è molto simile, anche se ha una area di rigore più affollata. Sono entrambi difensori che vanno a risolvere la partita. «Dopo il gol, non vedevo l'ora che l'arbitro fischiasse la fine. Correvo e sapevo di aver fatto una cosa importante, non pensavo, però, che durasse tanto. Qualche settimana fa, su un campo di periferia a Caserta, un uomo, anziano, si è inginocchiato per ringraziami». Oggi Volpecina fa l'osservatore per il Torino in un vortice di coincidenze ma vive ancora a Caserta, da dove partì la sua esperienza di calciatore. «La cosa che mi dicono subito: che bellezza, eri in fuorigioco. Godono del torto, e poi elogiano il tiro».
Arriva alle giovanili del Napoli attraverso Cané: «che mister, ci massaggiava pure», che lo porta a giocare un torneo a Rimini; poi con la primavera del Napoli vince lo scudetto, fa l'esordio in prima squadra e dopo viene ceduto al Palermo (1980-84): «lì, ho imparato a bere e a studiare il vino, grazie a Gianni De Biasi l'attuale allenatore dell'Albania ». Passò al Pisa ('84-'86): «quasi per caso mi capitò di marcare Maradona per la prima volta. Per tutta la settimana il mister Vincenzo Guerini provò Bruno Caneo, che era uno tipo Gattuso, ma Diego gli sfuggiva sempre. Così mi chiese: te la senti di andare a marcare il dieci? Potevo dirgli di no?» In quella partita Italo Allodi lo vide nel Napoli del futuro: «dopo mi disse che quando stava a Firenze veniva sempre a vedermi ma io non lo sapevo, tra l'altro al ritorno contro il Napoli lanciai in porta Klaus Berggreen, ci tenevo sempre a fare bella figura, perché volevo tornare, tanto che lo dissi anche al presidente Anconetani: me ne vado solo se mi chiama il Napoli». E il Napoli chiamò. «Quella prima della partita fu una settimana normale. Ottavio Bianchi era un tipo freddo, che solo la domenica parlava. Il suo era un lavoro di equilibrio. Provammo molto i calci piazzati, che poi tornarono utili». E il viaggio? «Eravamo un gruppo allegro, dove Maradona faceva quello che oggi fa Reina. Si metteva a palleggiare con la frutta, raccontava barzellette».
E la partita? «Prima del fischio: tesissimi.
Il Mattino