Quasi tutti gli italiani (il 96,2%) considerano giustamente inviolabile il diritto alla riservatezza dei propri dati personali e la diffidenza nei confronti di Internet resta...
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È quanto emerge da una ricerca del Censis, che evidenzia l'ingresso nell' «era biomediatica», in cui si è diffusa la pratica della condivisione delle biografie personali attraverso i social network.
Dalla ricerca, presentata da Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, e discussa da Luca De Biase, editor d'innovazione de Il Sole 24 Ore, Giuseppe De Rita, presidente del Censis, e Antonello Soro, presidente dell'Autorità Garante per la privacy, emerge anche che l'82,4% degli italiani pensa che fornire i propri dati personali sul web sia pericoloso perchè espone al rischio di truffe,
L'83,3% teme che molti siti web estorcano i dati personali all'insaputa degli utenti, il 76,8% pensa che usare la carta di credito per effettuare acquisti online sia rischioso. L'88,4% degli italiani è consapevole che i grandi operatori del web, come Google e Facebook, possiedono gigantesche banche dati sugli utenti. La maggioranza pensa che i dati personali siano un patrimonio che può essere sfruttato a scopi commerciali (72,3%) o politici (60,5%).
Il 60,7% ritiene quindi che il possesso di un gran numero di dati rappresenti un enorme valore economico. E il 51,6% è convinto che in futuro il potere sarà nelle mani di chi deterrà il maggior numero di dati personali. Tra gli utenti di Internet, il 93% teme che la propria privacy possa essere violata online e il 32% lamenta di avere effettivamente subito danni.
La legislazione vigente in materia di privacy è ritenuta soddisfacente soltanto dal 7,5% degli italiani connessi in rete, mentre è pari al 54% la quota di chi giudica necessaria una normativa più severa. Ma il 24,5% è scettico, perchè pensa che oggi sia sempre più difficile garantire la privacy. «Come successo per la difesa dell'ambiente, occorre far crescere una cultura della difesa dei dati personali contro la minaccia cibernetica - ha commentato Soro -. La bulimia di trasparenza, che per certi aspetti è considerata un elemento virtuoso, è d'altra parte un processo da cui occorre rientrare. Occorre un concorso dei singoli individui e delle istituzioni e non sarà facile trovare le tecniche più adatte».
«Il processo di digitalizzazione è più lento di quanto si pensi - ha aggiunto De Rita -.
Il Mattino