Perché l'intelligenza artificiale mette il turbo al progresso scientifico

Perché l'intelligenza artificiale mette il turbo al progresso scientifico
L'intelligenza artificiale metterà il «turbo» al progresso scientifico, perché permetterà di vincere la sfida sempre più pressante...

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L'intelligenza artificiale metterà il «turbo» al progresso scientifico, perché permetterà di vincere la sfida sempre più pressante della gestione dei Big Data prodotti dalle nuove tecnologie: ne è convinto Alessandro Curioni, vicepresidente europeo e direttore di Ibm Research di Zurigo, tra gli esperti riuniti all'Università di Milano-Bicocca per un'edizione speciale della conferenza mondiale «The future of science» dal titolo Digital Revolution: come cambierà la nostra vita, organizzata da Fondazione Umberto Veronesi, Fondazione Silvio Tronchetti Provera e Fondazione Giorgio Cini.


«Quello che stiamo vivendo - spiega Curioni - è solo l'inizio di una crescita esponenziale dei dati, che entro il 2025 raggiungeranno i 165 zettabyte», ovvero 165 mila miliardi di gigabyte. «Il problema è che questa crescita esplosiva non è centralizzata ma distribuita, perché i dati li produciamo tutti noi, anche con un semplice smartphone. Per l'80% sono "dark data", ovvero dati non strutturati, come ad esempio testi, foto, video e audio, e le previsioni ci dicono che cresceranno fino al 93% entro il 2020». Per affrontare questa mole di informazioni «i vecchi metodi di computing non possono più funzionare: qui si inserisce la rivoluzione dell'intelligenza artificiale, che ci aiuterà a semplificare l'elaborazione dei dati dando senso anche a quelli non strutturati». Sotto questo punto di vista, continua l'esperto Ibm, «l'intelligenza artificiale è il miglior strumento che abbiamo per accelerare il progresso scientifico: il processo di ricerca e sviluppo non sarà più lineare ma integrato, richiederà meno sforzi, e ci porterà verso una "cognitive discovery", ovvero una capacità di fare scoperte che sarà collegata alla quantità di dati disponibili». Questa trasformazione solleva molte questioni etiche, a cui l'Ibm come altre aziende ha risposto fissando dei paletti: «Vogliamo aumentare e non sostituire l'intelligenza umana, garantire trasparenza sull'uso dei dati e collaborare - conclude Curioni - affinché la conseguente trasformazione del mondo del lavoro avvenga nel modo più utile alla società». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino